Stare a tavola con amici e parenti non
è mai così frequente come nel periodo delle feste. Durante le
maratone caloriche che in quei giorni vengono allestite con zelo
quasi sadico da massaie improvvisate e forzati del revanscismo usi a
brandire la Tradizione come un'arma, mi isolo sempre più ad
osservare i comportamenti altrui. Bevono vini imbarazzanti in
bicchieri di fortuna, dalle bizzarre forme ai materiali più
impensati. Calici e tazze di plastica, vetro smerigliato, cioccolata.
Non gustano, trangugiano. Non ascoltano nulla, credono che il vino
sia un liquido di vago colore rosso o bianco che dà alla testa
quando se ne beve troppo. Insomma, qualcosa di vagamente minaccioso
(e giù a dare dell'alcolizzato – così, per scherzo – a chi si
versa un goccio con un entusiasmo appena al di sopra della media).
“Per l'amor di Dio, non bere che devi guidare!” Tra cinque
ore, ma che importa? Non bere.
Di fronte a questi modi mi sono
scoperto ad assumere alternativamente due comportamenti opposti,
l'Educatore e il Refrattario. In entrambi finisco per sentirmi
inadeguato: il vino andrebbe condiviso e basta. Ma accorgermi che per
molti ha la stessa dignità della saponetta del bidet mi trasforma
automaticamente in un evangelista. Si dedica così tanta attenzione
al cibo! Ci si scambiano ricette, esperienze, opinioni. Vino, birra,
distillati invece vengono scaricati in poche occhiate e confinati ad essere oggetto dell'attenzione di "esperti". Mi sembra di poter sentire i commenti tutti uguali di cento, mille tavole imbandite
all'ombra dell'albero di Natale:
“mmmhhh.... non male questo vino.
Cos'è?”
“Boh? Non lo so. L'ha portato
Valerio”
(prende la bottiglia e legge
l'etichetta) - “Ah, Nero d'Avola. Dicevo che era buono”.
Quanto Nero d'Avola e Chianti e
Valpolicella ho visto e assaggiato su quei tavoli. Acquistati per tre
euro e mezzo al supermercato oppure appartenenti a qualche cesto
natalizio i vini insipidi non farebbero drizzare un pelo neppure a
chi li ha prodotti.
L'Educatore è il professorino della
serata. Attira su di sé stima e sarcasmo in proporzioni uguali
mentre tenta di spiegare i rudimenti della degustazione, il fatto che
il vino va annusato – si, avete capito bene: annusato! Mettete
dentro il bicchiere quella protuberanza avente doppia foratura che vi
ritrovate in mezzo al cranio, esiste proprio per quello! - ed
apprezzato usando i sensi. Quando l'Educatore si lancia a citare
alcuni degli aromi che gli sembra di percepire all'olfatto, gli
astanti spalancano gli occhioni. Mi squadrano come fossi uno sciamano
che estrae per divinazione gli elementi dal bicchiere (ciliegia!
Pesca gialla! Pietra focaia! La sala ulula: ooooohhh...). Molti
allentano risatine scettiche, pensano che stia inventando tutto, che
sia impossibile trovare simili richiami in un bicchiere (e lo è
certamente, nei vini cui sono abituati). Che la sceneggiata miri a
far colpo sulle signore e guadagnar la stima degli esemplari maschi.
Alcuni pensano tra sé “ecco il solito fissato” (ce n'è uno ad
ogni cena e non esita a manifestare i propri pavoneggiamenti). Io
invece oscillo tra l'orgoglio di suscitare almeno in qualcuno il
dubbio che occorra maggiore attenzione all'approccio e più rispetto
per i prodotti e la tentazione di mandare tutti al diavolo: che
continuino a crogiolarsi nelle proprie abitudini sconciamente
asensoriali.
E' allora che si affaccia sulla scena
il Refrattario. Stanco di trascinare le redini dell'ignoranza del
genere umano, il sacro Intellettuale del palato depone le armi e sale
sull'Aventino della sensorialità. Mi chiedono di “pensare al vino”
per la cena a casa di Giorgia in cui “tutti portano qualcosa”?
Potrei far assaggiare quell'ottimo Chianti scoperto di recente,
oppure un sublime Valpolicella di cui tengo sempre in cantina
qualche bottiglia, o il Nero d'Avola più sorprendente e
affascinante. Ma a che scopo? Verrebbero umiliati in bicchieri di
carta e bevuti in abbinamento col panettone. Nessuno tenterebbe di
scoprire quale produttore ha operato una maturazione così lunga e
coraggiosa e un dibattito sul contributo del calcare al gusto del
vino farebbe meno proseliti di una lezione di geometria e algebra
sulla tivvù notturna. Vi porto un bianco profumato di vaniglia e
voilà. Quanto a me quella sera berrò chinotto.
Quando invece sono io ad ospitare gli altri e qualcuno porta uno spumante industriale non richiesto, il Refrattario si preoccuperà di spacciare copiose dosi del suddetto al mittente, il quale ne verrà saturato e declinerà i successivi assaggi da bottiglie di qualità. Ami lo “spumantino” e il “prosecchino”? Tieni, allora. Beviteli. Un altro goccino?
Quando invece sono io ad ospitare gli altri e qualcuno porta uno spumante industriale non richiesto, il Refrattario si preoccuperà di spacciare copiose dosi del suddetto al mittente, il quale ne verrà saturato e declinerà i successivi assaggi da bottiglie di qualità. Ami lo “spumantino” e il “prosecchino”? Tieni, allora. Beviteli. Un altro goccino?
So che raccontando queste esperienze
corro il rischio di apparire elitario. Vanitoso. Intransigente. Ma
qui si parla di amore! Insomma, chi assisterebbe senza opporsi
all'indifferenza generalizzata verso qualcosa che ama? Provate ad
ascoltare una sonata di Bach in presenza di un amante del pianoforte
e, durante l'esecuzione, alzate il volume della televisione che
trasmette un quiz a premi. Andate al cinema e piazzatevi davanti a
quell'occhialuto un po' fissato. Nel bel mezzo della scena madre
dell'attesissimo film di Lars Von Trier alzatevi in piedi e
applaudite sguaiatamente. In pieno monologo dell'Otello accendete, al
centro del teatro gremito, una radio che trasmette il derby.
Illuminate male un quadro ad una mostra, date ad un cantante un
microfono gracchiante, ad uno scrittore una penna spuntata. Perché
per il vino dovrebbe essere diverso?
La disattenzione verso la degustazione
suscita maggior disagio ed appare ancora più colpevole in Italia.
Siamo un popolo che trae non solo la propria storia ma l'identità di
sé dalla cultura e la tradizione eno-gastronomica. Ignorare il vino,
gli italiani, proprio non possono permetterselo.
Quest'amnesia deve far parte di uno
smarrimento collettivo, pensano l'Educatore e il Refrattario
accostandosi al bicchiere e ricordando uomini del passato come
Veronelli e Soldati che vissero il gusto come un'arte di cui vivere e
raccontare.
La nostra generazione può fare ancora molto.
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A scanso di equivoci preciso che il tono dell'articolo è volutamente grottesco e ironico (ed auto ironico), che non sono solito trattare male i miei ospiti - come sa chiunque abbia frequentato casa mia - che non conta quanto si spenda per un vino ma il livello di consapevolezza con cui lo si fa e che ogni riferimento a cose, fatti o persone è puramente casuale.
L'intento che anima il testo, lungi dal voler offendere, è quello di rivendicare, per il vino, lo stesso rispetto che viene riconosciuto ad altri ambiti dell'arte umana e ad altre passioni.
La nostra generazione può fare ancora molto.
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A scanso di equivoci preciso che il tono dell'articolo è volutamente grottesco e ironico (ed auto ironico), che non sono solito trattare male i miei ospiti - come sa chiunque abbia frequentato casa mia - che non conta quanto si spenda per un vino ma il livello di consapevolezza con cui lo si fa e che ogni riferimento a cose, fatti o persone è puramente casuale.
L'intento che anima il testo, lungi dal voler offendere, è quello di rivendicare, per il vino, lo stesso rispetto che viene riconosciuto ad altri ambiti dell'arte umana e ad altre passioni.