Pubblico l'estratto di un libro che mi sembra molto attuale, oltre che assolutamente godibile da leggere. Si tratta di un frammento del dialogo epistolare fra i due autori, pubblicato sulla rivista "Carta" nei primi anni duemila e riportato nel libro che cito in calce.
Che noia sfogliare i giornali coi loro servizi speciali sul
Vinitaly, coi dossier esclusivi, elusivi, tutti uguali, ricalcati con carta
marpione, xerocopiati, imperniati sui soliti vini che sfilano in passerella,
sui calici piacenti, sui magnifici cento vincenti. Che palle questa melopea
babbea sui vignaioli modaioli dell’haute-viticulture, che rompimento la
prosopopea sulle cantine santine, sulle etichette smorfiosette fotografate come
divette per calendari, sui filari ricchi come filiali della Banca Mondiale, sui
Sassicaia, Gaja, Ornellaia, Lupicaia, sbandierati dai cafoni a caccia di
benedizioni, esibiti dai parvenu per darsi arie da intenditori, usati
addirittura in certe campagne [le chiamano così, campagne, pensa tu]
pubblicitarie come testimonial subliminali per significare ricchezza, eleganza,
potenza. C’è un gran proliferare di scuole di degustazione, corsi di
abbinamento, sorsi di elevamento in società.
Qualche giorno fa mi sono trovato a una cena di ulivisti doc
[nel senso politico], facenti parte di un club privé per diventare gourmet,
sommelier, iniziati viziati, una cena in cui non si faceva che ammiccare,
sbraidare, sbrodolare le proprie conoscenze. Non puoi immaginare che
esibizionismo nell’annsare, che roteare di bicchieri, che schioccare di lingua,
che gran toreare di commenti saccenti sui produttori emergenti, sui top del
tappo, sulle hit del cappio.
Appena gli ho esposto il programma di “Terra e Libertà” e
gli ho detto della necessità di un Critical Wine, di un approccio meno
elitario, più identitario e rivoluzionario, li ho visti chiaramente darsi di
gomito, sghignazzare, commentare ecco il solito kretino di estrema sinistra che
crede ancora nei sommovimenti, nei contro incontri. Ma ormai la loro è una
competenza sterile, sanno solo sottolineare le fermentazioni e non vedono i
fermenti che covano nelle nostre menti, discettano di giacimenti gastronomici e
svicolano sulle implicazioni sociali, si dilungano sugli affinamenti e non
percepiscono le possibilità di nuovi affiliamenti, si inebriano degli
invecchiamenti e gli sfuggono le derive che possono prendere i movimenti.
Consultano febbrilmente, fideisticamente, i vari gamberi
rossi, gli omini michelini, i pesci rossi espressi, e entrano di diritto a far
parte di una confraternita di esperti inerti. Noi non vogliamo enologi teologi,
ghiottoni coglioni, né annullarci in satori per degustatori, noi abbiamo
chiamato a raccolto gli enopsichedelici guastatori per cercare un terreno
comune che sia immune dalla retorica bolsa della vite quotata in borsa per la
gioia dei collezionisti onanisti.
"Bianco Rosso e Veronelli - Manuale per enodissidenti e gastroribelli" (Luigi Veronelli, Pablo Echaurren, 2005, Stampa Alternativa)