Boston una volta era molto diversa da oggi. Un nodo autostradale
in pieno centro spaccava la continuità urbana e a ridosso di questo, ed anche
più a sud, esistevano ampie aree degradate. Condivideva insomma la stessa
natura di molte città degli States in cui ricchezza e povertà, splendore e
decadimento coesistono nello spazio di pochi metri. Poi ha cominciato a
decollare e lo ha fatto grazie ad un’intensa opera di risanamento la cui
paternità è stata condivisa tra Stato (Massachusetts) e comune.
Il “Big Dig”, nei quindici anni a cavallo della crisi delle torri
gemelle, ha interrato l’intero groviglio viario fra North End e il resto della
città sostituendolo con giardini e fontane. Contemporaneamente, un’illuminata
politica cittadina ha cercato di restituire a ciascun quartiere la sua identità
peculiare in opposizione al cosiddetto urban
sprawl che, in quasi tutte le città occidentali, ha segnato negli ultimi vent’anni
una forte espansione dell’urbanizzazione verso le periferie, con quartieri residenziali
tanto ampi quanto privi di anima o almeno di un proprio carattere distintivo. Limitatamente
al comune di Boston, questa azione ha cercato di riaggregare la città puntando
sulla dimensione del quartiere, un caso più unico che raro in America e in
controtendenza rispetto all’Europa. Il sito internet del comune esprime tale
suddivisione in quartieri: c’è una brochure che ne elenca la storia e una
community di persone affiliate al comune che - presumo gratuitamente - si
mettono a disposizione per dare consigli sulla propria zona. Si tratta di un
modello urbanistico prettamente europeo che Boston, la più europea delle città
americane, ha perfettamente ereditato e che l’Europa sembra aver smarrito
frastornata da giganteschi megacinema, megastore, megaparcheggi che segnano lo
scenario di periferie ipertrofiche. Intere aree nate dal nulla e anche per
questo vuote di senso.
Gli interventi pubblici hanno fatto da volano a numerosi
investimenti privati. Mai viste tante case in ristrutturazione in un quartiere
aristocratico come Beacon Hill.
L’effetto collaterale di tutto ciò è stato un generalizzato
aumento dei prezzi degli affitti e delle compravendite immobiliari. Come a
dire: vivere in una città bella e funzionale non è gratis.
A proposito di funzionalità non vorrei soffermarmi troppo su
particolari che sarebbero banali solo se non rappresentassero un confronto
vergognoso per noi italiani. La connettività Wi-Fi gratuita copre gran parte
della città un po’ per l’iniziativa privata - non c’è locale che ne sia
sprovvisto - un po’ per quella pubblica in uffici, treni e parchi pubblici. I
parcheggi sono costosi per chi viene da fuori, che oltretutto paga un pass per
entrare in città con l’automobile, ma sono pressoché garantiti agli abitanti:
in ogni quartiere la maggior parte degli spazi-macchina sono preclusi ai non
residenti. Del resto l’automobile in città è tutt’altro che obbligatoria (a
meno di casi familiari particolari: anziani, invalidi, bambini) in quanto le
dimensioni urbane, unite ad una rete di trasporto adeguata, permettono di
muoversi agevolmente a piedi. In compenso l’efficienza dei mezzi è
impressionante. Non solo puntualità e frequenza. Ascensori e scale mobili in
ogni stazione - mai assistito ad un caso di malfunzionamento in venti giorni di
uso intensivo della rete - pavimento lucido e perfino ventilatori per i
passeggeri in attesa sulla banchina. Biciclette in ogni angolo, un buon numero
delle quali di proprietà del comune e affittabili a cinque dollari per
mezz’ora. Ma il particolare che mi ha davvero smarrito è stato vedere un
dipendente comunale, in divisa, lucidare (sottolineo: lucidare) un secchio
della spazzatura lungo un marciapiede. Ero allibito. Mi è stato spiegato che lo
fa per un motivo preciso: la superficie dei cassonetti della città è provvista
di cellule fotovoltaiche che azionano un motore che fa il compostaggio dei
rifiuti. Se il coperchio è sporco, le fotocellule non si caricano
completamente. Ovvio.
So bene cosa accade ai miei connazionali quando si confrontano con
altre realtà. Non sai se essere più invidioso per gli abitanti locali che, pur pagando
meno tasse di te, hanno la possibilità di vivere in una città che funziona
meglio della tua oppure incazzarti col tuo Paese, la tua regione e il tuo
comune e perfino con chi ha voluto fare dell'Italia uno stato unitario,
palesemente incapace di autogovernarsi, anziché lasciarla ad un più fisiologico
stato di divisione subalterna.
Non è che voglio per forza parlar male del mio paese non appena
varco i confini. Non voglio apparire ingrato come un figlio che sottovaluta ciò
che la mamma, naturale o putativa, anagrafica o professionale, gli regala senza
chiedere in cambio nulla più che uno sguardo benevolente.
Neppure sono un turista di primo pelo che si impressiona per il solo
fatto di mangiare un hamburger fatto bene in luogo delle imitazioni che si
trovano da noi. Qualche posto l’ho visitato in vita mia. Boston è davvero una
città deliziosa e non solo una città ben organizzata. Racchiude in sé aspetti
positivi dell’Europa e degli Stati Uniti. Questo non significa che sia
l’Eden. Per esempio, agli occhi di un
romano, non sfugge l’assenza di monumenti di impatto mondiale che reggano il
confronto col Colosseo o San Pietro. Tuttavia i monumenti, pur importanti, non
hanno un impatto risolutivo sulla qualità della vita. Insomma sia chiaro: so
bene che l’Italia non è solo decadenza e malfunzionamento. Ha anche alcune
bellezze indubitabili. Per esempio c’è la pizza margherita. E poi un bel clima
(...).
Anche se giovane da un’ottica europea, Boston, fondata nel 1630, è
la più antica fra le metropoli americane. La città si confronta continuamente con
il passato, con orgoglio ma senza restarne intrappolata. L’intera area del seaport district, la più vecchia della
città e teatro di sbarchi e anche di scontri armati, invece di ripiegarsi in un
immobilismo museale stantìo, si sta ripensando completamente. Uno dei primi
tasselli è stato il mastodontico Institute
of Contemporary Art (ICE), poi l’istituto di design e altri edifici in
costruzione. Non per questo il molo dei pescatori è stato demolito.
Boston è anche e soprattutto una città accademica. Il rapporto
Università/popolazione è impressionante e istituzioni come Harvard, MIT e Boston
University richiamano studenti da tutto il mondo nelle proprie sedi
monumentali. Indubbiamente la forte vocazione accademica si riflette sulla
società, che è quanto mai giovane e internazionale. Giovani attivi e
benestanti. Avrei voluto chiedere ad ognuno di essi quanto del proprio reddito
fosse riferibile ad aiuti familiari (finanziari e di altro tipo) e quanto
derivasse da un percorso di vita personale in un ambiente favorevole
all’investimento di ciascun individuo sul proprio futuro.
Non so definire esattamente la causalità fra cultura media degli
abitanti e buona educazione, ma sospetto che sia piuttosto stringente. In tutto
il periodo di permanenza, non credo mi sia mai accaduto di salire qualche
gradino con il passeggino senza che qualcuno si offrisse di aiutarmi. Come
minimo di aprirmi la porta, ma spesso di sollevare il passeggino stesso. Se
capitava di sedere lontano dai miei, in metropolitana o in qualsiasi altra sala
di attesa, subito c’era chi si alzava, a volte anche tre persone
contemporaneamente, per farci sedere vicini. La prima volta rimasi fermo al mio
posto osservando questi “eccentrici” comportamenti con sguardo interrogativo e
aspettando il terzo o quarto “you’re welcome” o “here you go” prima di muovermi
e ringraziare. Salgo con il passeggino sulla scala mobile? Subito qualcuno si
precipita ad avvertirmi che c’è un ascensore, una rampa, qualcosa insomma che
mi renderà la vita più semplice. La percezione di sentirsi osservati non è
esattamente ciò che intendo per libertà, ma devo ammettere che un simile
slancio collettivo, quasi istintivo negli abitanti a giudicare dalla frequenza
con cui si è manifestato, mi ha colpito profondamente. La cortesia come atto
spontaneo, senza sovrastrutture (sociali o commerciali per esempio) ma
piuttosto introiettata fino a divenire un riflesso condizionato. Dopo un po’ la
cosa ti coinvolge e cominci anche tu a cedere il passo a chiunque, a
ringraziare tutti e aprire le porte e sorridere a chi passa con un bambino al
fianco. Poi torni in Italia e riprendi a guardare il prossimo in cagnesco (ma
che vuole questo qui? Il mio posto in metropolitana, forse, oppure è un
raccomandato o quanto meno sta pensando di rubarmi la pensione. Mors tua vita
mea. E’ la filosofia tipica dei posti con poco spazio, poche possibilità, poca
ricchezza non solo in senso finanziario, poca dinamica sociale, poca fiducia
nel futuro, poco ricambio generazionale, poca immigrazione di qualità, ecc.).
Ma poi torni a Boston. E poi torni in Italia. E poi a Boston. E poi in Italia.
E poi....