lunedì 29 novembre 2010

US and THEM



Noi, forse, una pensione non ce l’avremo. Loro protestano vivacemente per la propria. A volte la prendono a cinquantacinque anni.

Loro hanno beneficiato del boom economico dei sessanta e di quello edonistico degli ottanta. Noi ci siamo trovati sul groppone la crisi della new economy (fine anni novanta), quella delle torri (duemilauno) e quella dei mutui subprime (duemilaotto).
Loro hanno visto un Paese con un debito pubblico sostenibile, al livello di tanti altri Stati europei. Noi un debito pubblico colossale, uno dei più alti tra i paesi “ricchi”.

Loro avevano genitori e suoceri che accudivano i figli: i celebri “nonni di una volta”, di cui parlano anche tutte le fiabe dei fratelli Grimm. Noi abbiamo genitori aitanti che si sentono ancora giovani e prestanti. Nipoti si, purché non interferiscano con la palestra, il circolo di scopone scientifico, il week end in Toscana, il cinema e il ristorante.

Noi non importa se sei mamma, l’orario corto non esiste più. Loro non importa se non sei mamma, l’orario lungo non è per te.

Noi il contratto a tempo indeterminato come punto di massima garanzia, spesso utopistico. Loro come forma contrattuale ordinaria.

Loro che una famiglia doppio reddito era una scelta. Noi che è un obbligo.

Loro e le battaglie per il divorzio e per l’aborto. Noi il “Movimento per la Vita” e il “Family Day”.

Loro che i Beatles e i Led Zeppelin e i Doors e i Pink Floyd li hanno visti nascere (ma spesso ascoltavano Nilla Pizzi). Noi che ascoltiamo ancora la musica degli anni settanta perché il resto fa schifo.

Loro il sabato una pizza con gli amici. Noi il tagliolino al tartufo.

Loro che un viaggio era un’odissea. Noi che voliamo low cost.

Noi siamo stati giovani con Berlusconi, Bossi, Rutelli e D’Alema. Loro con Moro, Spadolini, Pertini e Berlinguer.

Noi se vogliamo andare al mare senza fare il bagno con le pantegane dobbiamo fare chilometri su chilometri. Loro andavano dietro l’angolo e trovavano l’acqua pulita.

Loro suonavano la chitarra in spiaggia intorno al falò con la “maglietta fina”. Noi suoniamo con “guitar hero”, i falò sono vietati, e la maglietta è slim fit.

Noi giriamo ore per il parcheggio. Loro giravano ore per il corteggio.

Loro d’estate passeggiavano in Vespa sul lungomare. Noi anche d’inverno sulla tangenziale.

Loro in un ambiente socio-economico arcaico ma protetto. Noi in un sistema arcaico ma senza protezioni.

Loro al massimo una malattia venerea. Noi l’AIDS.

Loro una generalizzata fiducia nel futuro. Noi un generalizzato pessimismo.

Loro: l’emozione nella tv in bianconero. Noi: la pubblicità su internet.

Loro le lettere e gli “amici di penna”. Noi gli sms e gli “amici su Facebook”.

Loro “il matrimonio è per la tutta la vita”. Noi “il matrimonio è per il contributo al giro del mondo, da versare sul conto corrente dell’agenzia”.

Loro e l’eredità da lasciare alle generazioni future. Noi e le bollette da scaricare sulle generazioni future.

Loro e il declino del comunismo (cioè gli altri). Noi e il declino del capitalismo (cioè noi).

Loro, i giovani e i vecchi. Noi siamo tutti giovani.

Loro e la “pace dei sensi”. Noi e il Viagra.

Noi, la rete. Loro, i riti.

Loro “si stava meglio quando si stava peggio”. Noi “si stava meglio quando si stava meglio”.

venerdì 26 novembre 2010

Quando il "pueblo" è "unido"


Se assisto ad un movimento popolare, ad un corteo, non resto mai indifferente. Il movimento della moltitudine mi emoziona. Se poi questa folla invoca ad alta voce il rispetto di diritti, se rivolge la propria protesta contro chi è più potente e più cinico, se lotta per ideali nobili come la cultura, la giustizia, l’uguaglianza, la pace allora la mia emozione diventa incontenibile, me la faccio proprio sotto. In senso metaforico, s’intende. Insomma non riesco a trattenere il coinvolgimento e se non sono lì in piazza, vorrei esserci.

Avete mai provato ad unirvi ad un corteo? Si prova un’adrenalina unica nel movimento collettivo, camminare insieme ad altri in un’unica direzione e gridare cose condivise da chi ti sta intorno. Si ha la sensazione di essere parte di qualcosa. Una sensazione piuttosto rara nel nostro tempo d’individualismi.

Un elemento di ulteriore piacere è vedere la protesta sui volti dei più giovani. Quando vedo i ragazzi che protestano mi eccito. Non posso farci niente. Sarà che sto invecchiando, ma un diciottenne che vuole partecipare, far sentire la propria voce mi tranquillizza sul futuro allo stesso modo in cui mi deprime vedere ragazzi lobotomizzati ai concorsi per veline o davanti al Grande Fratello o con uno “smart” phone in mano. Forse è superficiale restringere il giudizio a poche osservazioni e pretendere di trarne “considerazioni sociali”. Forse. Ma non me ne frega niente. Quello che conta è l’emozione. Perché io da piccolo sentivo gli Inti Illimani cantare “el pueblo unido jamas sera vencido” e, mentre mi raccontavano dei giovani cileni scappati in giro per il mondo a cantare il proprio dolore io ci credevo. E, in fondo, ci credo anche adesso. Pure se il mondo è cambiato un bel po’ e anche i giovani probabilmente sono diversi.

Un corteo ha energia come un fiume. Nessuno può dire con certezza dove andrà quel flusso. Anche se, certo, esistono gli argini. Può capitare la circostanza sfortunata che ci siano incidenti. Certo se sali sulla torre potresti cadere. E’ certo però che se pensi di farti sentire scrivendo una bella letterina educata, difficilmente smuoverai chi tiene in mano le leve delle decisioni. Quanto all’opinione pubblica non solo non la smuoverai, ma forse neppure ne desterai la minima attenzione.

L’assalto al Senato è un atto simbolico che mi ha fatto sbavare. Lo so, è un sentimento un po’ deviato, ma sentire il vecchio e guasto giornalista invocare la repressione reazionaria (“picchiate i manifestanti”!) mi ha dato la conferma che l’atto dimostrativo ha colto il punto, è arrivato al cuore generando l’effetto per cui è stato eseguito. Quello di creare emozione. Emozione cioè ammirazione oppure indignazione, apprezzamento o condanna. Espressione di rabbia e di malessere che monta e che cresce mese dopo mese, protesta dopo protesta e che un giorno arriverà alla foce. Ottenere ciò che chiede o, magari, affievolirsi per uno scatto generazionale. Perché i giovani diventano vecchi. Gli incendiari, pompieri.

venerdì 12 novembre 2010

Ode al viaggio



Sentire i chilometri che si susseguono, solcati dalla tua macchina, il tuo treno, il tuo aereo, i tuoi piedi. Percepire il movimento, lo spostamento, il cambiamento. Andare da soli, con se stessi come unico amico con cui condividere le emozioni, e sentirle per questo esplodere ancora più intensamente nella propria anima. Andare in due, concedendosi lo spazio di eplorarsi nel profondo, facendo finalmente quel viaggio che si è sempre sognato, da vivere come un’inserzione nella reciproca intimità. Darsi l’illusione di non tornare mai più. Andare in gruppo, muovendosi a ondate, amalgamandosi in un’identità collettiva, un soggetto nuovo che crea forme attraverso il contributo di tutti, che disegna scenari che sarebbero diversi se l’alchimia fosse un’altra, con altre persone a comporre il gruppo. Veder nascere affinità parallele oppure perpendicolari, cementarsi durante il percorso. Litigare, affermare se stessi. Cedere parti di sé. Andare con un figlio o un genitore, sperimentando un nuovo legame, unica possibilità di essere pari di fronte al mondo, solidali in modo biunivoco e guardare in modo simile ma differente, ma sempre con stupore, il paesaggio che si evolve.

Sognare di restare in un luogo, per viverlo da dentro. Riuscire a farlo per davvero. Trasformarsi da turista in viaggiatore. Restare viaggiatori anche dopo essere tornati a casa, convinti che lo stato di viandante non sia una condizione del corpo ma dell’anima. Un bisogno insopprimibile che permette al fuoco di restare acceso. Portar qualcosa dopo un viaggio, da conservare, da ricordare, da ingrandire, da ammirare, da regalare. Tenere qualcosa dentro, per sempre. Viaggiare così a lungo da non aver più una casa.

Guardarsi intorno e scoprire realtà nuove. Accorgersi che i tuoi occhi guardano con maggiore interesse, con più curiosità. Tutti i sensi seguono, si attivano, si accelerano. Odori nuovi di cucine insolite, di alberi e natura cui non sei abituato. Sapori da esplorare e luce diversa, più sole, meno sole. Più caldo oppure più freddo. Un altro orario in cui hai sonno se c’è luce, ma stai sveglio di notte. Il corpo è più veloce, il metabolismo è più veloce, il pensiero è più veloce. Scatti meglio le tue fotografie, i pensieri di diradano, parli più fluido la tua lingua o quella di altri popoli che ora ti sommerge, ti sovrasta e ti costringe a leggere tutto con maggiore impegno, ad ascoltare con tutta la tua attenzione. Nutrirsi delle differenze, tra i tuoi modi e gli altri, nuove abitudini e convenzioni con cui confrontarsi, un senso comune diverso dal tuo, un senso dell’umorismo che ti è alieno, come tu stesso sei alieno al contesto. Oppure no, sei esattamente nel posto in cui ti senti te stesso, dove hai sempre voluto essere, quel posto che ti appartiene come tu sembri appartenere ad esso. Il luogo in cui hai l’impressione di esser sempre vissuto, in cui riesci a ricollegarti con la tua essenza. Ma a volte essere proprio nel punto da cui vorresti fuggire, un luogo che ti opprime e ti intrappola. Provare la leggerezza di potersene allontanare. E continuare ad andare. Altrove.