venerdì 12 novembre 2010

Ode al viaggio



Sentire i chilometri che si susseguono, solcati dalla tua macchina, il tuo treno, il tuo aereo, i tuoi piedi. Percepire il movimento, lo spostamento, il cambiamento. Andare da soli, con se stessi come unico amico con cui condividere le emozioni, e sentirle per questo esplodere ancora più intensamente nella propria anima. Andare in due, concedendosi lo spazio di eplorarsi nel profondo, facendo finalmente quel viaggio che si è sempre sognato, da vivere come un’inserzione nella reciproca intimità. Darsi l’illusione di non tornare mai più. Andare in gruppo, muovendosi a ondate, amalgamandosi in un’identità collettiva, un soggetto nuovo che crea forme attraverso il contributo di tutti, che disegna scenari che sarebbero diversi se l’alchimia fosse un’altra, con altre persone a comporre il gruppo. Veder nascere affinità parallele oppure perpendicolari, cementarsi durante il percorso. Litigare, affermare se stessi. Cedere parti di sé. Andare con un figlio o un genitore, sperimentando un nuovo legame, unica possibilità di essere pari di fronte al mondo, solidali in modo biunivoco e guardare in modo simile ma differente, ma sempre con stupore, il paesaggio che si evolve.

Sognare di restare in un luogo, per viverlo da dentro. Riuscire a farlo per davvero. Trasformarsi da turista in viaggiatore. Restare viaggiatori anche dopo essere tornati a casa, convinti che lo stato di viandante non sia una condizione del corpo ma dell’anima. Un bisogno insopprimibile che permette al fuoco di restare acceso. Portar qualcosa dopo un viaggio, da conservare, da ricordare, da ingrandire, da ammirare, da regalare. Tenere qualcosa dentro, per sempre. Viaggiare così a lungo da non aver più una casa.

Guardarsi intorno e scoprire realtà nuove. Accorgersi che i tuoi occhi guardano con maggiore interesse, con più curiosità. Tutti i sensi seguono, si attivano, si accelerano. Odori nuovi di cucine insolite, di alberi e natura cui non sei abituato. Sapori da esplorare e luce diversa, più sole, meno sole. Più caldo oppure più freddo. Un altro orario in cui hai sonno se c’è luce, ma stai sveglio di notte. Il corpo è più veloce, il metabolismo è più veloce, il pensiero è più veloce. Scatti meglio le tue fotografie, i pensieri di diradano, parli più fluido la tua lingua o quella di altri popoli che ora ti sommerge, ti sovrasta e ti costringe a leggere tutto con maggiore impegno, ad ascoltare con tutta la tua attenzione. Nutrirsi delle differenze, tra i tuoi modi e gli altri, nuove abitudini e convenzioni con cui confrontarsi, un senso comune diverso dal tuo, un senso dell’umorismo che ti è alieno, come tu stesso sei alieno al contesto. Oppure no, sei esattamente nel posto in cui ti senti te stesso, dove hai sempre voluto essere, quel posto che ti appartiene come tu sembri appartenere ad esso. Il luogo in cui hai l’impressione di esser sempre vissuto, in cui riesci a ricollegarti con la tua essenza. Ma a volte essere proprio nel punto da cui vorresti fuggire, un luogo che ti opprime e ti intrappola. Provare la leggerezza di potersene allontanare. E continuare ad andare. Altrove.

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