venerdì 26 novembre 2010

Quando il "pueblo" è "unido"


Se assisto ad un movimento popolare, ad un corteo, non resto mai indifferente. Il movimento della moltitudine mi emoziona. Se poi questa folla invoca ad alta voce il rispetto di diritti, se rivolge la propria protesta contro chi è più potente e più cinico, se lotta per ideali nobili come la cultura, la giustizia, l’uguaglianza, la pace allora la mia emozione diventa incontenibile, me la faccio proprio sotto. In senso metaforico, s’intende. Insomma non riesco a trattenere il coinvolgimento e se non sono lì in piazza, vorrei esserci.

Avete mai provato ad unirvi ad un corteo? Si prova un’adrenalina unica nel movimento collettivo, camminare insieme ad altri in un’unica direzione e gridare cose condivise da chi ti sta intorno. Si ha la sensazione di essere parte di qualcosa. Una sensazione piuttosto rara nel nostro tempo d’individualismi.

Un elemento di ulteriore piacere è vedere la protesta sui volti dei più giovani. Quando vedo i ragazzi che protestano mi eccito. Non posso farci niente. Sarà che sto invecchiando, ma un diciottenne che vuole partecipare, far sentire la propria voce mi tranquillizza sul futuro allo stesso modo in cui mi deprime vedere ragazzi lobotomizzati ai concorsi per veline o davanti al Grande Fratello o con uno “smart” phone in mano. Forse è superficiale restringere il giudizio a poche osservazioni e pretendere di trarne “considerazioni sociali”. Forse. Ma non me ne frega niente. Quello che conta è l’emozione. Perché io da piccolo sentivo gli Inti Illimani cantare “el pueblo unido jamas sera vencido” e, mentre mi raccontavano dei giovani cileni scappati in giro per il mondo a cantare il proprio dolore io ci credevo. E, in fondo, ci credo anche adesso. Pure se il mondo è cambiato un bel po’ e anche i giovani probabilmente sono diversi.

Un corteo ha energia come un fiume. Nessuno può dire con certezza dove andrà quel flusso. Anche se, certo, esistono gli argini. Può capitare la circostanza sfortunata che ci siano incidenti. Certo se sali sulla torre potresti cadere. E’ certo però che se pensi di farti sentire scrivendo una bella letterina educata, difficilmente smuoverai chi tiene in mano le leve delle decisioni. Quanto all’opinione pubblica non solo non la smuoverai, ma forse neppure ne desterai la minima attenzione.

L’assalto al Senato è un atto simbolico che mi ha fatto sbavare. Lo so, è un sentimento un po’ deviato, ma sentire il vecchio e guasto giornalista invocare la repressione reazionaria (“picchiate i manifestanti”!) mi ha dato la conferma che l’atto dimostrativo ha colto il punto, è arrivato al cuore generando l’effetto per cui è stato eseguito. Quello di creare emozione. Emozione cioè ammirazione oppure indignazione, apprezzamento o condanna. Espressione di rabbia e di malessere che monta e che cresce mese dopo mese, protesta dopo protesta e che un giorno arriverà alla foce. Ottenere ciò che chiede o, magari, affievolirsi per uno scatto generazionale. Perché i giovani diventano vecchi. Gli incendiari, pompieri.

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