martedì 25 settembre 2012

Impressioni di settembre: Boston



Boston una volta era molto diversa da oggi. Un nodo autostradale in pieno centro spaccava la continuità urbana e a ridosso di questo, ed anche più a sud, esistevano ampie aree degradate. Condivideva insomma la stessa natura di molte città degli States in cui ricchezza e povertà, splendore e decadimento coesistono nello spazio di pochi metri. Poi ha cominciato a decollare e lo ha fatto grazie ad un’intensa opera di risanamento la cui paternità è stata condivisa tra Stato (Massachusetts) e comune.
Il “Big Dig”, nei quindici anni a cavallo della crisi delle torri gemelle, ha interrato l’intero groviglio viario fra North End e il resto della città sostituendolo con giardini e fontane. Contemporaneamente, un’illuminata politica cittadina ha cercato di restituire a ciascun quartiere la sua identità peculiare in opposizione al cosiddetto urban sprawl che, in quasi tutte le città occidentali, ha segnato negli ultimi vent’anni una forte espansione dell’urbanizzazione verso le periferie, con quartieri residenziali tanto ampi quanto privi di anima o almeno di un proprio carattere distintivo. Limitatamente al comune di Boston, questa azione ha cercato di riaggregare la città puntando sulla dimensione del quartiere, un caso più unico che raro in America e in controtendenza rispetto all’Europa. Il sito internet del comune esprime tale suddivisione in quartieri: c’è una brochure che ne elenca la storia e una community di persone affiliate al comune che - presumo gratuitamente - si mettono a disposizione per dare consigli sulla propria zona. Si tratta di un modello urbanistico prettamente europeo che Boston, la più europea delle città americane, ha perfettamente ereditato e che l’Europa sembra aver smarrito frastornata da giganteschi megacinema, megastore, megaparcheggi che segnano lo scenario di periferie ipertrofiche. Intere aree nate dal nulla e anche per questo vuote di senso.
Gli interventi pubblici hanno fatto da volano a numerosi investimenti privati. Mai viste tante case in ristrutturazione in un quartiere aristocratico come Beacon Hill.
L’effetto collaterale di tutto ciò è stato un generalizzato aumento dei prezzi degli affitti e delle compravendite immobiliari. Come a dire: vivere in una città bella e funzionale non è gratis.

A proposito di funzionalità non vorrei soffermarmi troppo su particolari che sarebbero banali solo se non rappresentassero un confronto vergognoso per noi italiani. La connettività Wi-Fi gratuita copre gran parte della città un po’ per l’iniziativa privata - non c’è locale che ne sia sprovvisto - un po’ per quella pubblica in uffici, treni e parchi pubblici. I parcheggi sono costosi per chi viene da fuori, che oltretutto paga un pass per entrare in città con l’automobile, ma sono pressoché garantiti agli abitanti: in ogni quartiere la maggior parte degli spazi-macchina sono preclusi ai non residenti. Del resto l’automobile in città è tutt’altro che obbligatoria (a meno di casi familiari particolari: anziani, invalidi, bambini) in quanto le dimensioni urbane, unite ad una rete di trasporto adeguata, permettono di muoversi agevolmente a piedi. In compenso l’efficienza dei mezzi è impressionante. Non solo puntualità e frequenza. Ascensori e scale mobili in ogni stazione - mai assistito ad un caso di malfunzionamento in venti giorni di uso intensivo della rete - pavimento lucido e perfino ventilatori per i passeggeri in attesa sulla banchina. Biciclette in ogni angolo, un buon numero delle quali di proprietà del comune e affittabili a cinque dollari per mezz’ora. Ma il particolare che mi ha davvero smarrito è stato vedere un dipendente comunale, in divisa, lucidare (sottolineo: lucidare) un secchio della spazzatura lungo un marciapiede. Ero allibito. Mi è stato spiegato che lo fa per un motivo preciso: la superficie dei cassonetti della città è provvista di cellule fotovoltaiche che azionano un motore che fa il compostaggio dei rifiuti. Se il coperchio è sporco, le fotocellule non si caricano completamente. Ovvio.

So bene cosa accade ai miei connazionali quando si confrontano con altre realtà. Non sai se essere più invidioso per gli abitanti locali che, pur pagando meno tasse di te, hanno la possibilità di vivere in una città che funziona meglio della tua oppure incazzarti col tuo Paese, la tua regione e il tuo comune e perfino con chi ha voluto fare dell'Italia uno stato unitario, palesemente incapace di autogovernarsi, anziché lasciarla ad un più fisiologico stato di divisione subalterna.

Non è che voglio per forza parlar male del mio paese non appena varco i confini. Non voglio apparire ingrato come un figlio che sottovaluta ciò che la mamma, naturale o putativa, anagrafica o professionale, gli regala senza chiedere in cambio nulla più che uno sguardo benevolente.
Neppure sono un turista di primo pelo che si impressiona per il solo fatto di mangiare un hamburger fatto bene in luogo delle imitazioni che si trovano da noi. Qualche posto l’ho visitato in vita mia. Boston è davvero una città deliziosa e non solo una città ben organizzata. Racchiude in sé aspetti positivi dell’Europa e degli Stati Uniti. Questo non significa che sia l’Eden.  Per esempio, agli occhi di un romano, non sfugge l’assenza di monumenti di impatto mondiale che reggano il confronto col Colosseo o San Pietro. Tuttavia i monumenti, pur importanti, non hanno un impatto risolutivo sulla qualità della vita. Insomma sia chiaro: so bene che l’Italia non è solo decadenza e malfunzionamento. Ha anche alcune bellezze indubitabili. Per esempio c’è la pizza margherita. E poi un bel clima (...).

Anche se giovane da un’ottica europea, Boston, fondata nel 1630, è la più antica fra le metropoli americane. La città si confronta continuamente con il passato, con orgoglio ma senza restarne intrappolata. L’intera area del seaport district, la più vecchia della città e teatro di sbarchi e anche di scontri armati, invece di ripiegarsi in un immobilismo museale stantìo, si sta ripensando completamente. Uno dei primi tasselli è stato il mastodontico Institute of Contemporary Art (ICE), poi l’istituto di design e altri edifici in costruzione. Non per questo il molo dei pescatori è stato demolito.

Boston è anche e soprattutto una città accademica. Il rapporto Università/popolazione è impressionante e istituzioni come Harvard, MIT e Boston University richiamano studenti da tutto il mondo nelle proprie sedi monumentali. Indubbiamente la forte vocazione accademica si riflette sulla società, che è quanto mai giovane e internazionale. Giovani attivi e benestanti. Avrei voluto chiedere ad ognuno di essi quanto del proprio reddito fosse riferibile ad aiuti familiari (finanziari e di altro tipo) e quanto derivasse da un percorso di vita personale in un ambiente favorevole all’investimento di ciascun individuo sul proprio futuro.

Non so definire esattamente la causalità fra cultura media degli abitanti e buona educazione, ma sospetto che sia piuttosto stringente. In tutto il periodo di permanenza, non credo mi sia mai accaduto di salire qualche gradino con il passeggino senza che qualcuno si offrisse di aiutarmi. Come minimo di aprirmi la porta, ma spesso di sollevare il passeggino stesso. Se capitava di sedere lontano dai miei, in metropolitana o in qualsiasi altra sala di attesa, subito c’era chi si alzava, a volte anche tre persone contemporaneamente, per farci sedere vicini. La prima volta rimasi fermo al mio posto osservando questi “eccentrici” comportamenti con sguardo interrogativo e aspettando il terzo o quarto “you’re welcome” o “here you go” prima di muovermi e ringraziare. Salgo con il passeggino sulla scala mobile? Subito qualcuno si precipita ad avvertirmi che c’è un ascensore, una rampa, qualcosa insomma che mi renderà la vita più semplice. La percezione di sentirsi osservati non è esattamente ciò che intendo per libertà, ma devo ammettere che un simile slancio collettivo, quasi istintivo negli abitanti a giudicare dalla frequenza con cui si è manifestato, mi ha colpito profondamente. La cortesia come atto spontaneo, senza sovrastrutture (sociali o commerciali per esempio) ma piuttosto introiettata fino a divenire un riflesso condizionato. Dopo un po’ la cosa ti coinvolge e cominci anche tu a cedere il passo a chiunque, a ringraziare tutti e aprire le porte e sorridere a chi passa con un bambino al fianco. Poi torni in Italia e riprendi a guardare il prossimo in cagnesco (ma che vuole questo qui? Il mio posto in metropolitana, forse, oppure è un raccomandato o quanto meno sta pensando di rubarmi la pensione. Mors tua vita mea. E’ la filosofia tipica dei posti con poco spazio, poche possibilità, poca ricchezza non solo in senso finanziario, poca dinamica sociale, poca fiducia nel futuro, poco ricambio generazionale, poca immigrazione di qualità, ecc.). Ma poi torni a Boston. E poi torni in Italia. E poi a Boston. E poi in Italia. E poi....