Anno dopo anno, mi rendo conto con sempre maggior compiutezza che
viaggiare è cercare. Si cerca al di fuori di sé ma anche, naturalmente,
dentro di sé. Un viaggio come quello verso cui, mi rendo conto, finisco
inevitabilmente per tendere, lo dimostra in modo molto limpido. Girare,
muoversi, cambiare città e paese, smontare e rimontare le tende. Rifare i
bagagli. Assistere al continuo mutare del paesaggio e della lingua e
della temperatura e del clima, macinare chilometri.
Maturare è, nella migliore delle ipotesi, focalizzare i tratti della propria ricerca.
Il
tesoro che rincorro si chiama verità. L'epoca in cui vivo divora la
natura intima dei luoghi e dei popoli, mischia e omogenizza le abitudini
e le tendenze e mira all'omologazione. Semplifica le divergenze
particolari, ne smonta i caratteri più aspri e ne esalta quelli più
malleabili. Resistono tuttavia alcune nicchie - la Sardegna centrale ad
esempio - che per ragioni intrinseche riescono in qualche modo a
conservare il proprio nucleo di verità. Il proprio senso identitario.
L'
itinerario orientale che ho pensato aveva l'obiettivo di confrontarsi
con questo interrogativo: i Balcani hanno resistito, e in quale misura,
alla furia omologatrice dell'occidente americanomane?
Bari
sa essere, come per altri versi Venezia, la porta dell'est. Lo è
fortissimamente dal punto di vista religioso, segnando il crocevia
spirituale delle due cristianità che si ritrovano nelle reliquie di San
Nicola. L'Albania a nord di Durazzo, per contro, è una difficile
periferia che non vedevo l'ora di superare. Dava l'impressione di
respingere chiunque.
Arrivati a Budva, Montenegro
costiero, l'impressione di respingenza non cessa. Costellata di alberghi
abnormi, asfissiata dal cemento di palazzi in costruzione e
attanagliata dal rumore assordante delle auto - rigorosamente tedesche -
che sfrecciano fra camion pesantissimi sulla superstrada che la
attraversa, Budva si è immolata sull'altare del capitalismo più
spudorato. L'impressione è quella di una speculazione recente e
affannosa: il paese ha accettato la tagliola dell'euro e come insegna
l'economista Frenkel è nella prima fase di in ciclo finanziario che lo
porterà inesorabilmente, dopo un primo afflusso di capitali esteri e una
conseguente bolla economica, alla stagnazione. L'indebitamento con
l'estero e i relativi interessi soffocheranno il bilancio pubblico e
inchioderanno la popolazione, in particolare le fasce più fragili, a una
disoccupazione "strutturale" e ad un progressivo arretramento dello
Stato dai servizi pubblici. Duole assistere a questa dissennata corsa
all'oro, perché la costa ha (aveva) un paesaggio naturalistico unico e
la città vecchia è davvero incantevole.
L'entroterra, però.
Refrattario
alle seduzioni del profitto apparentemente facile, il territorio aspro e
arcaico del Montenegro rurale resta aggrappato pervicacemente alla
propria verità. Qui il genio della natura non ha subito l'avvelenamento
della tentazione satanica che ha corrotto la costa. Rarefazione, scarsa
densità, pulizia del paesaggio non sono associati ad una povertà
sociale, bensì ad una salvifica continenza. Il parco nazionale di
Zabljiac offre moltissime attività, la popolazione ha scaltramente
tratto vantaggio dal turismo che, inevitabilmente, affluisce attratto
dal fascino indiscutibile di questa parte del paese. Ma non ha, per
questo, venduto l'anima. Sono intrattenimenti semplici, frutto per lo
più di iniziative locali di piccola imprenditoria. La ricettività è
limitata, anche se in crescita, alle casette degli "etno villaggi", la
ristorazione è strettamente localistica e la cosiddetta macchina
organizzativa mantiene un contegno ed un rispetto di sé e dei propri
luoghi che fa pensare al rigore lucido degli altoatesini. Ma senza
quella meticolosa perfezione che forgia aiuole rasate al millimetro.
Insomma naturale, quieto e calorosamente accogliente. Come la casa che
ci ha ricevuti e i due vecchietti che la custodiscono, commoventi nel
loro tentativo di comunicare con noi, pur senza conoscere una sola
parola di qualsiasi lingua che non sia il serbo.
Strapparsi a questa terra dopo pochi - troppo pochi! -
giorni è un po' doloroso. Anche perché la lunga strada per la Croazia,
che passa dalla Bosnia Erzegovina, è arroventata e aggrava la nostalgia
per il clima fresco dei monti Durmitor.
La Croazia
ripaga gli sforzi compiuti per percorrerla. Il versante a sud di Spalato
praticamente ha un'unica strada, erosa alla montagna e percorsa da
tutti: vacanzieri, residenti e autotrasportatori. La vista è così
stupefacente da imporre al guidatore un sacrificio supplementare per
dedicare la propria attenzione ad evitare scontri frontali piuttosto che
ad ammirare il paesaggio. Una costa simile, ammetto, è un'esperienza
che mi era capitata poche volte. Non sono solo la successione pazzesca
di piccole insenature, spiagge minuscole con qualche barca attraccata e
pochi bagnanti fortunati, le isole e isolette affacciate sulla costa e i
colori strabilianti a richiamare lo sguardo. Ciò che colpisce è lo
stato di conservazione del paesaggio, che ha saputo trovare un magico
equilibrio tra sviluppo e tutela, tra turismo e salvaguardia. C'è
verità, in questa costa e lo si percepisce alla prima sosta casuale, per
mangiare un panino e sgranchirsi le gambe in una pineta a picco sul
mare che una mano fatata deve aver materializzato per noi. Odori di pino
e salsedine e il suono ipnotico delle cicale, poche manciate di
nuotatori e pescatori in lontananza. Una lugubre e affascinante villa
abbandonata, che testimonia un passato di clamorosa e tranquilla
nobiltà. Siamo nei pressi di Trsteno.
Amo
l'orgoglio dei croati per la propria bandiera, la loro lingua
incomprensibile, l'attaccamento all'Hajduk Spalato - il calcio è un
formidabile veicolo di socializzazione - e il testardo radicamento, che
non è chiusura. Le coste sono frequentate dai loro abitanti, ma accanto a
loro polacchi, cechi, austriaci e bosniaci sono numerosi. Di targhe
serbe, effettivamente, ne ho viste molto poche.
Allo
stato di conservazione orgoglioso della costa e del fertile e agricolo
spicchio di terra pianeggiante a ridosso del delta del fiume Neretva, fa
dolorosamente da contraltare la plateale svendita di Dubrovnik, passata
repentinamente da città fortificata arcigna e autonomista a mesto e
slabbrato zoo per turisti. Il centro storico è un tappeto di bottegucce
mediocri e convenzionali e ristoranti che vomitano odori e tavoli
apparecchiati in ogni vicolo. Gente che mangia a tutte le ore e fritti
insulsi devastano ogni ipotesi di atmosfera di un nucleo che un tempo,
si può immaginare, è stato ricco di suggestioni. Ora puoi solo aprire il
portafogli per camminare sulle mura che cingono la città (trentacinque
soldi a persona!) o prendere un costosissimo e mediocre gelataccio (tre
euro a palla) oppure gustare il paesaggio dalla teleferica che approda a
ridosso delle mura da monte Srđ per trenta euro a cranio. A proposito,
non venga in mente al turista incauto di prendere un espresso al bar in
attesa della funivia: il conto è una bastonata che neppure a Venezia.
Dicono che la serie televisiva "Games of thrones" abbia accresciuto la
vocazione "glamour" di questa (ex) perla dell'Adriatico. Io sospetto che
la spinta del turismo di massa e dei suoi guadagni facili abbiano
corrotto l'equilibrio del luogo molto tempo prima. Dubrovnik non ha più
nulla di originale, è una battona che pretende di continuare ad
esercitare un fascino che non ha più, rincorrendo la bellezza a botte di
plastica, silicone e Botox, finendo per apparire soltanto tristemente
grottesca. Ce ne siamo allontanati un po' affranti, anche considerando
le sei ore di macchina che ci è costata la gita, tra andata e ritorno
dalla piccola perla - questa si - chiamata Omis dove risiediamo. Omis è
un'ex enclave dei pirati, la cui posizione incastonata nella montagna fa
capire facilmente i motivi per cui sia stata scelta come base
inespugnata. Omis non ha nulla di abbacinante e il suo fascino è piccolo
e fragile. Da questo ha tratto la forza per conservarsi.
Il
mare è davvero bello e aggirarsi in barca fra le mille isole è
irrinunciabile. Non si può fare a meno di invidiare chi può permettersi
di scorazzare fra gli angoli infiniti di questo arcipelago con un
gommoncino o una barchetta, senza pretendere necessariamente una
poderosa imbarcazione come quelle che ogni tanto fanno la propria
comparsa lasciando a bocca aperta tutti gli altri. Ma anche chi si
rotola pigramente su un lettino di qualche villa affacciata sulla costa.
Ce ne sono, forse, milioni. Quasi sempre senza sfarzo, non siamo in
costa Smeralda. Solo una splendida semplicità, talmente tranquilla da
diventare altezzosa.
È un posto complicato da cui
allontanarsi, la Croazia. È un luogo da cui non puoi congedarti senza
esserti riproposto di tornare. Magari per vedere la parte nord. Magari
per provare meglio i vini del sud. Magari per farsela tutta in barca,
come quei dannati turisti che, tra un tuffo e l'altro, davano proprio
l'idea di essere felici.