martedì 26 settembre 2023

C'è un costo, per la ricchezza? Se si, qual è? (domande di una notte, ma forse è mattina, di mezza estate)


 Hai terminato il tuo allenamento quotidiano nella palestra condominiale e chiami l'ascensore per salire in casa, dove ti aspetta una doccia calda con prodotti a base di olio di argan. Hai un fastidio al collo, probabilmente dovuto all'aria condizionata troppo alta (bisogna lamentarsi col portiere) e sei contrariato perché gli addetti alle pulizie hanno dimenticato di sostituire gli asciugamani puliti a disposizione per chi frequenta la palestra.

La giornata è iniziata male.

Una colazione sul balcone, con prodotti bio certificati, è quello che ci vuole. Assapori l'aria fresca del mattino: la bella stagione sta arrivando. Il tuo umore si rasserena, grazie anche al tè in foglie Darjeeling miscelato con petali di rosa e bava di lumaca.
La doccia è bollente, anche se la pressione dell'acqua non è al meglio. Colpa del vicino che sta ristrutturando il bagno (si è messo in testa di utilizzare solo marmo italiano e oro e sta litigando con l'architetto che non riesce a trovare le giunture dei tubi a 18 carati): ti sforzi di non pensarci. La tua mente è già rivolta alla giornata di lavoro che ti attende, a downtown. Chiami il garagista per preparare la tua Maserati.

Investire, disinvestire, investire, disinvestire. È come giocare al casinó. Ti convinci di aver fatto bene a contraddire il tuo amico Aaron, l'altro giorno al club. Si è fissato con questa cosa dell'economia reale. Ma non abbiamo già troppi problemi? Perché cercarsene altri, legandosi al rendimento di imprese zavorrate dal costo del lavoro e dalla domanda di beni che è fatalmente demolita dal crollo dei salari?

Prima di tornare a casa passi a fare la spesa. Una cosa che ti rilassa e che ti ostini ancora a fare tu, malgrado tutti i tuoi amici abbiano smesso da tempo di frequentare i supermercati. La fila alle casse li rendeva isterici ed ora comprano su web. Sabato Philippe e Bob verranno a mangiare da te, farete un barbecue nella spiaggia del tuo isolotto. Meglio un Cabernet Sauvignon della California o un Sirah australiano?
Arrivato a casa, lasci la macchina al garagista e ti accordi col portiere che ti porterà le buste della spesa in casa. "Ma solo tra un'ora", chiedi in modo perentorio, perché l'idraulico condominiale sta riparando il lavandino - dopo che Janet al party di domenica scorsa ci aveva inavvertitamente fatto cadere il tuo coltellino giapponese sbuccia-patate.

Mentre ti prepari un poke con salmone e avocado accendi il sistema di entertainment. Lasci che Alexa decida la playlist migliore, limitandoti a dire "metti qualcosa di soft", e guardi per un attimo fuori. Sta arrivando un temporale. Ti auguri che il tempo non turbi la giornata di domenica, visto che hai invitato Alice a fare un giro nella tua barca nuova. Sarebbe davvero seccante dover cambiare il tuo programma: in motocicletta fino al porto e, dopo un brunch da Gilbert's, spiegare le vele del tuo catamarano.
La seta delle lenzuola ti accarezza mentre prendi sonno. Queste nuove gocce del dottor Huxley sono davvero formidabili. Ti abbandoni felice come un bambino.
Hai solo il tempo per un'ultima riflessione, dedicata alle paperelle autoannaffianti del laghetto zen, in giardino. Michael le ha sostituite con un nuovo sistema controllabile da remoto e pensi proprio che dovrai cercare anche tu qualcosa di simile.

Ma ora basta pensieri.

venerdì 14 luglio 2023

Della ricerca di una verità

 Anno dopo anno, mi rendo conto con sempre maggior compiutezza che viaggiare è cercare. Si cerca al di fuori di sé ma anche, naturalmente, dentro di sé. Un viaggio come quello verso cui, mi rendo conto, finisco inevitabilmente per tendere, lo dimostra in modo molto limpido. Girare, muoversi, cambiare città e paese, smontare e rimontare le tende. Rifare i bagagli. Assistere al continuo mutare del paesaggio e della lingua e della temperatura e del clima, macinare chilometri. 

Maturare è, nella migliore delle ipotesi, focalizzare i tratti della propria ricerca.
Il tesoro che rincorro si chiama verità. L'epoca in cui vivo divora la natura intima dei luoghi e dei popoli, mischia e omogenizza le abitudini e le tendenze e mira all'omologazione. Semplifica le divergenze particolari, ne smonta i caratteri più aspri e ne esalta quelli più malleabili. Resistono tuttavia alcune nicchie - la Sardegna centrale ad esempio - che per ragioni intrinseche riescono in qualche modo a conservare il proprio nucleo di verità. Il proprio senso identitario. 
L' itinerario orientale che ho pensato aveva l'obiettivo di confrontarsi con questo interrogativo: i Balcani hanno resistito, e in quale misura, alla furia omologatrice dell'occidente americanomane? 
Bari sa essere, come per altri versi Venezia, la porta dell'est. Lo è fortissimamente dal punto di vista religioso, segnando il crocevia spirituale delle due cristianità che si ritrovano nelle reliquie di San Nicola. L'Albania a nord di Durazzo, per contro, è una difficile periferia che non vedevo l'ora di superare. Dava l'impressione di respingere chiunque. 
 
Arrivati a Budva, Montenegro costiero, l'impressione di respingenza non cessa. Costellata di alberghi abnormi, asfissiata dal cemento di palazzi in costruzione e attanagliata dal rumore assordante delle auto - rigorosamente tedesche - che sfrecciano fra camion pesantissimi sulla superstrada che la attraversa, Budva si è immolata sull'altare del capitalismo più spudorato. L'impressione è quella di una speculazione recente e affannosa: il paese ha accettato la tagliola dell'euro e come insegna l'economista Frenkel è nella prima fase di in ciclo finanziario che lo porterà inesorabilmente, dopo un primo afflusso di capitali esteri e una conseguente bolla economica, alla stagnazione. L'indebitamento con l'estero e i relativi interessi soffocheranno il bilancio pubblico e inchioderanno la popolazione, in particolare le fasce più fragili, a una disoccupazione "strutturale" e ad un progressivo arretramento dello Stato dai servizi pubblici. Duole assistere a questa dissennata corsa all'oro, perché la costa ha (aveva) un paesaggio naturalistico unico e la città vecchia è davvero incantevole.
 

L'entroterra, però.
Refrattario alle seduzioni del profitto apparentemente facile, il territorio aspro e arcaico del Montenegro rurale resta aggrappato pervicacemente alla propria verità. Qui il genio della natura non ha subito l'avvelenamento della tentazione satanica che ha corrotto la costa. Rarefazione, scarsa densità, pulizia del paesaggio non sono associati ad una povertà sociale, bensì ad una salvifica continenza. Il parco nazionale di Zabljiac offre moltissime attività, la popolazione ha scaltramente tratto vantaggio dal turismo che, inevitabilmente, affluisce attratto dal fascino indiscutibile di questa parte del paese. Ma non ha, per questo, venduto l'anima. Sono intrattenimenti semplici, frutto per lo più di iniziative locali di piccola imprenditoria. La ricettività è limitata, anche se in crescita, alle casette degli "etno villaggi", la ristorazione è strettamente localistica e la cosiddetta macchina organizzativa mantiene un contegno ed un rispetto di sé e dei propri luoghi che fa pensare al rigore lucido degli altoatesini. Ma senza quella meticolosa perfezione che forgia aiuole rasate al millimetro. Insomma naturale, quieto e calorosamente accogliente. Come la casa che ci ha ricevuti e i due vecchietti che la custodiscono, commoventi nel loro tentativo di comunicare con noi, pur senza conoscere una sola parola di qualsiasi lingua che non sia il serbo. 
 
  
Strapparsi a questa terra dopo pochi - troppo pochi! - giorni è un po' doloroso. Anche perché la lunga strada per la Croazia, che passa dalla Bosnia Erzegovina, è arroventata e aggrava la nostalgia per il clima fresco dei monti Durmitor.
La Croazia ripaga gli sforzi compiuti per percorrerla. Il versante a sud di Spalato praticamente ha un'unica strada, erosa alla montagna e percorsa da tutti: vacanzieri, residenti e autotrasportatori. La vista è così stupefacente da imporre al guidatore un sacrificio supplementare per dedicare la propria attenzione ad evitare scontri frontali piuttosto che ad ammirare il paesaggio. Una costa simile, ammetto, è un'esperienza che mi era capitata poche volte. Non sono solo la successione pazzesca di piccole insenature, spiagge minuscole con qualche barca attraccata e pochi bagnanti fortunati, le isole e isolette affacciate sulla costa e i colori strabilianti a richiamare lo sguardo. Ciò che colpisce è lo stato di conservazione del paesaggio, che ha saputo trovare un magico equilibrio tra sviluppo e tutela, tra turismo e salvaguardia. C'è verità, in questa costa e lo si percepisce alla prima sosta casuale, per mangiare un panino e sgranchirsi le gambe in una pineta a picco sul mare che una mano fatata deve aver materializzato per noi. Odori di pino e salsedine e il suono ipnotico delle cicale, poche manciate di nuotatori e pescatori in lontananza. Una lugubre e affascinante villa abbandonata, che testimonia un passato di clamorosa e tranquilla nobiltà. Siamo nei pressi di Trsteno. 
Amo l'orgoglio dei croati per la propria bandiera, la loro lingua incomprensibile, l'attaccamento all'Hajduk Spalato - il calcio è un formidabile veicolo di socializzazione - e il testardo radicamento, che non è chiusura. Le coste sono frequentate dai loro abitanti, ma accanto a loro polacchi, cechi, austriaci e bosniaci sono numerosi. Di targhe serbe, effettivamente, ne ho viste molto poche. 
Allo stato di conservazione orgoglioso della costa e del fertile e agricolo spicchio di terra pianeggiante a ridosso del delta del fiume Neretva, fa dolorosamente da contraltare la plateale svendita di Dubrovnik, passata repentinamente da città fortificata arcigna e autonomista a mesto e slabbrato zoo per turisti. Il centro storico è un tappeto di bottegucce mediocri e convenzionali e ristoranti che vomitano odori e tavoli apparecchiati in ogni vicolo. Gente che mangia a tutte le ore e fritti insulsi devastano ogni ipotesi di atmosfera di un nucleo che un tempo, si può immaginare, è stato ricco di suggestioni. Ora puoi solo aprire il portafogli per camminare sulle mura che cingono la città (trentacinque soldi a persona!) o prendere un costosissimo e mediocre gelataccio (tre euro a palla) oppure gustare il paesaggio dalla teleferica che approda a ridosso delle mura da monte Srđ per trenta euro a cranio. A proposito, non venga in mente al turista incauto di prendere un espresso al bar in attesa della funivia: il conto è una bastonata che neppure a Venezia. Dicono che la serie televisiva "Games of thrones" abbia accresciuto la vocazione "glamour" di questa (ex) perla dell'Adriatico. Io sospetto che la spinta del turismo di massa e dei suoi guadagni facili abbiano corrotto l'equilibrio del luogo molto tempo prima. Dubrovnik non ha più nulla di originale, è una battona che pretende di continuare ad esercitare un fascino che non ha più, rincorrendo la bellezza a botte di plastica, silicone e Botox, finendo per apparire soltanto tristemente grottesca. Ce ne siamo allontanati un po' affranti, anche considerando le sei ore di macchina che ci è costata la gita, tra andata e ritorno dalla piccola perla - questa si - chiamata Omis dove risiediamo. Omis è un'ex enclave dei pirati, la cui posizione incastonata nella montagna fa capire facilmente i motivi per cui sia stata scelta come base inespugnata. Omis non ha nulla di abbacinante e il suo fascino è piccolo e fragile. Da questo ha tratto la forza per conservarsi.
Il mare è davvero bello e aggirarsi in barca fra le mille isole è irrinunciabile. Non si può fare a meno di invidiare chi può permettersi di scorazzare fra gli angoli infiniti di questo arcipelago con un gommoncino o una barchetta, senza pretendere necessariamente una poderosa imbarcazione come quelle che ogni tanto fanno la propria comparsa lasciando a bocca aperta tutti gli altri. Ma anche chi si rotola pigramente su un lettino di qualche villa affacciata sulla costa. Ce ne sono, forse, milioni. Quasi sempre senza sfarzo, non siamo in costa Smeralda. Solo una splendida semplicità, talmente tranquilla da diventare altezzosa. 
È un posto complicato da cui allontanarsi, la Croazia. È un luogo da cui non puoi congedarti senza esserti riproposto di tornare. Magari per vedere la parte nord. Magari per provare meglio i vini del sud. Magari per farsela tutta in barca, come quei dannati turisti che, tra un tuffo e l'altro, davano proprio l'idea di essere felici.