lunedì 30 agosto 2010

Son vago nella mia mente



E pensarci vorrei ancora un pò
noi siamo impauriti da quest'angelo
a pensarci è così, chissà dov'è
l'utima parola che riguardava te.

Ma sei, sei, come la neve sei
che tocchi è sciolta già e non sai più dov'è
solo un'immagine che va e sei nella mia mente
sì, solo nella mia mente, solo nella mia mente
son vago nella mia mente.

(Audio 2)

giovedì 26 agosto 2010

C'è un forte rumore di niente



Esistono sensibilità superiori, sguardi che vedono più lontano. Quando li incrocio, non posso fare a meno di apprezzarli ed umilmente trarre ispirazione da quel dono che permette ad alcuni di accorgersi di cose che molti altri non vedono.

Francesco De Gregori, per esempio. Leggendo i prossimi due testi, soprattutto alla luce dell'anno in cui sono usciti, si vede come l'autore anticipi eventi con inquietante esattezza.

Bambini venite parvulos (1989)

Nessun calcolo ha nessun senso dietro questa paralisi.
Gli elementi a disposizione non consentono analisi,
e i professori dell'altro ieri stanno affrettandosi a cambiare altare.
Hanno indossato le nuove maschere e ricominciano a respirare.
Bambini venite parvulos, c'è un'ancora da tirare,
issa dal nero del mare, dal profondo del nero del mare.
Che nessun calcolo ha nessun senso e poi nessuno sa più contare.
Legalizzare la mafia sarà la regola del duemila,
sarà il carisma di Mastro Lindo a regolare la fila
e non dovremo vedere niente che non abbiamo veduto già.
Qualsiasi tipo di fallimento ha bisogno della sua claque.
Bambini venite parvulos, c'è un applauso da fare al Bau Bau,
si avvicina sorridendo, l'arrotino col suo Know-How,
venuto a prendere perline e a regalare crack.
Sabbia sulle autostrade, ruggine sulle unghie,
e limatura di ferro negli occhi, terra fra le nostre lingue.
Avrei voluto baciarti amore, ancora un poco prima di andare via.
Prima di essere scaraventati dentro questo tipo di pornografia.
Bambini venite parvulos, vale un occhio il vostro cuore,
mille dollari i vostri occhi, i vostri occhi senza dolore.
Bambini venite parvulos, sangue sotto al sole.


Rumore di Niente (1992)

L'avevi creduto davvero che avremmo parlato Esperanto?
L'avevi creduto davvero o l'avevi sperato soltanto?
Ma che tempo, e che elettricità.
Ma che tempo che è, e che tempo che sarà.
Ma che tempo farà, non lo vedi che tuona?
Non lo senti che tuona già? Non lo senti che suona?
È lontana però, sembra già più vicina,
questa musica che abbiamo sentito già.
Babbo c'è un assassino, non lo fare bussare.
Babbo c'è un indovino, non lo fare parlare.
Babbo c'è un imbianchino, vestito di nuovo,
c'è la pelle di un vecchio serpente appena uscito da un uovo.
E c'è un forte rumore di niente, un forte rumore di niente.

L'avevi creduto davvero che avremmo parlato d'amore?
L'avevi creduto davvero o l'avevi soltanto sperato col cuore?
Gli occhi oggi gridano agli occhi, e le bocche stanno a guardare
e le orecchie non vedono niente tra Babele e il Villaggio Globale.
Babbo c'è un assassino, non lo fare bussare,
babbo c'è un indovino, non lo fare parlare.
Babbo c'è un imbianchino, vestito di nuovo,
c'è la pelle di un vecchio serpente appena uscito da un uovo.
E c'è un forte rumore di niente, un forte rumore di niente.

martedì 24 agosto 2010

Umanoidi Idratati



Uno dei segnali di decadenza della nostra civiltà è l'uso delle creme idratanti. Ci secchiamo la pelle al sole, poi ce la prosciughiamo sparandoci il condizionatore in faccia. Ma poi ci idratiamo, con il nuovissimo unguento energizzante, rigenerante, rinvigorente, con i microgranuli di jojoba e i cristalli di vetro smerigliato.

Ora, anche gli uomini. Lo suggerisce anche la pubblicità: "Fai come Cannavaro, diventa anche tu un super-macho con la faccia idratata".

M'incuriosiscono soprattutto gli idratati-igenisti. Quelli che oltre che idratarsi si detergono ossessivamente le mani con quei gel disinfettanti. Prima si detergono, poi si idratano, poi si detergono di nuovo le mani imburrate di crema.
Immagino questi personaggi mentre fanno l'amore, domandandosi scusa a vicenda per una goccia di sudore di troppo, o per non aver usato il colluttorio prima di coricarsi.

Ho viaggiato in aereo per molte ore seduto a fianco di una coppia del genere. La girandola di essenze che mi si è riversata addosso per tutta la durata del viaggio è stata imbarazzante. Disumana. E poi, separati da strati e strati di idratazione deterrente, in silenzio per tutto il viaggio.

Ma quanto ci fa male la delicatezza che ci usiamo per non farci male? (Cit.)

martedì 10 agosto 2010

Da dove veniamo


[...]
In fondo viaggiare tra i vigneti, tra un bicchiere e l’altro, tra un sorso e il successivo è proprio questo. Emozionarsi, scoprire, ricordare da dove veniamo. Collegarsi alla propria sostanza senza il bisogno di esprimerlo con gesti più rumorosi che un sorriso accennato, ma pieno.

mercoledì 4 agosto 2010