sabato 31 dicembre 2011

Educatore & Refrattario


Stare a tavola con amici e parenti non è mai così frequente come nel periodo delle feste. Durante le maratone caloriche che in quei giorni vengono allestite con zelo quasi sadico da massaie improvvisate e forzati del revanscismo usi a brandire la Tradizione come un'arma, mi isolo sempre più ad osservare i comportamenti altrui. Bevono vini imbarazzanti in bicchieri di fortuna, dalle bizzarre forme ai materiali più impensati. Calici e tazze di plastica, vetro smerigliato, cioccolata. Non gustano, trangugiano. Non ascoltano nulla, credono che il vino sia un liquido di vago colore rosso o bianco che dà alla testa quando se ne beve troppo. Insomma, qualcosa di vagamente minaccioso (e giù a dare dell'alcolizzato – così, per scherzo – a chi si versa un goccio con un entusiasmo appena al di sopra della media). “Per l'amor di Dio, non bere che devi guidare!” Tra cinque ore, ma che importa? Non bere.

Di fronte a questi modi mi sono scoperto ad assumere alternativamente due comportamenti opposti, l'Educatore e il Refrattario. In entrambi finisco per sentirmi inadeguato: il vino andrebbe condiviso e basta. Ma accorgermi che per molti ha la stessa dignità della saponetta del bidet mi trasforma automaticamente in un evangelista. Si dedica così tanta attenzione al cibo! Ci si scambiano ricette, esperienze, opinioni. Vino, birra, distillati invece vengono scaricati in poche occhiate e confinati ad essere oggetto dell'attenzione di "esperti". Mi sembra di poter sentire i commenti tutti uguali di cento, mille tavole imbandite all'ombra dell'albero di Natale:
mmmhhh.... non male questo vino. Cos'è?
“Boh? Non lo so. L'ha portato Valerio
(prende la bottiglia e legge l'etichetta) - “Ah, Nero d'Avola. Dicevo che era buono”.

Quanto Nero d'Avola e Chianti e Valpolicella ho visto e assaggiato su quei tavoli. Acquistati per tre euro e mezzo al supermercato oppure appartenenti a qualche cesto natalizio i vini insipidi non farebbero drizzare un pelo neppure a chi li ha prodotti.

L'Educatore è il professorino della serata. Attira su di sé stima e sarcasmo in proporzioni uguali mentre tenta di spiegare i rudimenti della degustazione, il fatto che il vino va annusato – si, avete capito bene: annusato! Mettete dentro il bicchiere quella protuberanza avente doppia foratura che vi ritrovate in mezzo al cranio, esiste proprio per quello! - ed apprezzato usando i sensi. Quando l'Educatore si lancia a citare alcuni degli aromi che gli sembra di percepire all'olfatto, gli astanti spalancano gli occhioni. Mi squadrano come fossi uno sciamano che estrae per divinazione gli elementi dal bicchiere (ciliegia! Pesca gialla! Pietra focaia! La sala ulula: ooooohhh...). Molti allentano risatine scettiche, pensano che stia inventando tutto, che sia impossibile trovare simili richiami in un bicchiere (e lo è certamente, nei vini cui sono abituati). Che la sceneggiata miri a far colpo sulle signore e guadagnar la stima degli esemplari maschi. Alcuni pensano tra sé “ecco il solito fissato” (ce n'è uno ad ogni cena e non esita a manifestare i propri pavoneggiamenti). Io invece oscillo tra l'orgoglio di suscitare almeno in qualcuno il dubbio che occorra maggiore attenzione all'approccio e più rispetto per i prodotti e la tentazione di mandare tutti al diavolo: che continuino a crogiolarsi nelle proprie abitudini sconciamente asensoriali.

E' allora che si affaccia sulla scena il Refrattario. Stanco di trascinare le redini dell'ignoranza del genere umano, il sacro Intellettuale del palato depone le armi e sale sull'Aventino della sensorialità. Mi chiedono di “pensare al vino” per la cena a casa di Giorgia in cui “tutti portano qualcosa”? Potrei far assaggiare quell'ottimo Chianti scoperto di recente, oppure un sublime Valpolicella di cui tengo sempre in cantina qualche bottiglia, o il Nero d'Avola più sorprendente e affascinante. Ma a che scopo? Verrebbero umiliati in bicchieri di carta e bevuti in abbinamento col panettone. Nessuno tenterebbe di scoprire quale produttore ha operato una maturazione così lunga e coraggiosa e un dibattito sul contributo del calcare al gusto del vino farebbe meno proseliti di una lezione di geometria e algebra sulla tivvù notturna. Vi porto un bianco profumato di vaniglia e voilà. Quanto a me quella sera berrò chinotto.
Quando invece sono io ad ospitare gli altri e qualcuno porta uno spumante industriale non richiesto, il Refrattario si preoccuperà di spacciare copiose dosi del suddetto al mittente, il quale ne verrà saturato e declinerà i successivi assaggi da bottiglie di qualità. Ami lo “spumantino” e il “prosecchino”? Tieni, allora. Beviteli. Un altro goccino?

So che raccontando queste esperienze corro il rischio di apparire elitario. Vanitoso. Intransigente. Ma qui si parla di amore! Insomma, chi assisterebbe senza opporsi all'indifferenza generalizzata verso qualcosa che ama? Provate ad ascoltare una sonata di Bach in presenza di un amante del pianoforte e, durante l'esecuzione, alzate il volume della televisione che trasmette un quiz a premi. Andate al cinema e piazzatevi davanti a quell'occhialuto un po' fissato. Nel bel mezzo della scena madre dell'attesissimo film di Lars Von Trier alzatevi in piedi e applaudite sguaiatamente. In pieno monologo dell'Otello accendete, al centro del teatro gremito, una radio che trasmette il derby. Illuminate male un quadro ad una mostra, date ad un cantante un microfono gracchiante, ad uno scrittore una penna spuntata. Perché per il vino dovrebbe essere diverso?

La disattenzione verso la degustazione suscita maggior disagio ed appare ancora più colpevole in Italia. Siamo un popolo che trae non solo la propria storia ma l'identità di sé dalla cultura e la tradizione eno-gastronomica. Ignorare il vino, gli italiani, proprio non possono permetterselo.

Quest'amnesia deve far parte di uno smarrimento collettivo, pensano l'Educatore e il Refrattario accostandosi al bicchiere e ricordando uomini del passato come Veronelli e Soldati che vissero il gusto come un'arte di cui vivere e raccontare.

La nostra generazione può fare ancora molto.

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A scanso di equivoci preciso che il tono dell'articolo è volutamente grottesco e ironico (ed auto ironico), che non sono solito trattare male i miei ospiti - come sa chiunque abbia frequentato casa mia - che non conta quanto si spenda per un vino ma il livello di consapevolezza con cui lo si fa e che ogni riferimento a cose, fatti o persone è puramente casuale.
L'intento che anima il testo, lungi dal voler offendere, è quello di rivendicare, per il vino, lo stesso rispetto che viene riconosciuto ad altri ambiti dell'arte umana e ad altre passioni.