venerdì 14 luglio 2023

Della ricerca di una verità

 Anno dopo anno, mi rendo conto con sempre maggior compiutezza che viaggiare è cercare. Si cerca al di fuori di sé ma anche, naturalmente, dentro di sé. Un viaggio come quello verso cui, mi rendo conto, finisco inevitabilmente per tendere, lo dimostra in modo molto limpido. Girare, muoversi, cambiare città e paese, smontare e rimontare le tende. Rifare i bagagli. Assistere al continuo mutare del paesaggio e della lingua e della temperatura e del clima, macinare chilometri. 

Maturare è, nella migliore delle ipotesi, focalizzare i tratti della propria ricerca.
Il tesoro che rincorro si chiama verità. L'epoca in cui vivo divora la natura intima dei luoghi e dei popoli, mischia e omogenizza le abitudini e le tendenze e mira all'omologazione. Semplifica le divergenze particolari, ne smonta i caratteri più aspri e ne esalta quelli più malleabili. Resistono tuttavia alcune nicchie - la Sardegna centrale ad esempio - che per ragioni intrinseche riescono in qualche modo a conservare il proprio nucleo di verità. Il proprio senso identitario. 
L' itinerario orientale che ho pensato aveva l'obiettivo di confrontarsi con questo interrogativo: i Balcani hanno resistito, e in quale misura, alla furia omologatrice dell'occidente americanomane? 
Bari sa essere, come per altri versi Venezia, la porta dell'est. Lo è fortissimamente dal punto di vista religioso, segnando il crocevia spirituale delle due cristianità che si ritrovano nelle reliquie di San Nicola. L'Albania a nord di Durazzo, per contro, è una difficile periferia che non vedevo l'ora di superare. Dava l'impressione di respingere chiunque. 
 
Arrivati a Budva, Montenegro costiero, l'impressione di respingenza non cessa. Costellata di alberghi abnormi, asfissiata dal cemento di palazzi in costruzione e attanagliata dal rumore assordante delle auto - rigorosamente tedesche - che sfrecciano fra camion pesantissimi sulla superstrada che la attraversa, Budva si è immolata sull'altare del capitalismo più spudorato. L'impressione è quella di una speculazione recente e affannosa: il paese ha accettato la tagliola dell'euro e come insegna l'economista Frenkel è nella prima fase di in ciclo finanziario che lo porterà inesorabilmente, dopo un primo afflusso di capitali esteri e una conseguente bolla economica, alla stagnazione. L'indebitamento con l'estero e i relativi interessi soffocheranno il bilancio pubblico e inchioderanno la popolazione, in particolare le fasce più fragili, a una disoccupazione "strutturale" e ad un progressivo arretramento dello Stato dai servizi pubblici. Duole assistere a questa dissennata corsa all'oro, perché la costa ha (aveva) un paesaggio naturalistico unico e la città vecchia è davvero incantevole.
 

L'entroterra, però.
Refrattario alle seduzioni del profitto apparentemente facile, il territorio aspro e arcaico del Montenegro rurale resta aggrappato pervicacemente alla propria verità. Qui il genio della natura non ha subito l'avvelenamento della tentazione satanica che ha corrotto la costa. Rarefazione, scarsa densità, pulizia del paesaggio non sono associati ad una povertà sociale, bensì ad una salvifica continenza. Il parco nazionale di Zabljiac offre moltissime attività, la popolazione ha scaltramente tratto vantaggio dal turismo che, inevitabilmente, affluisce attratto dal fascino indiscutibile di questa parte del paese. Ma non ha, per questo, venduto l'anima. Sono intrattenimenti semplici, frutto per lo più di iniziative locali di piccola imprenditoria. La ricettività è limitata, anche se in crescita, alle casette degli "etno villaggi", la ristorazione è strettamente localistica e la cosiddetta macchina organizzativa mantiene un contegno ed un rispetto di sé e dei propri luoghi che fa pensare al rigore lucido degli altoatesini. Ma senza quella meticolosa perfezione che forgia aiuole rasate al millimetro. Insomma naturale, quieto e calorosamente accogliente. Come la casa che ci ha ricevuti e i due vecchietti che la custodiscono, commoventi nel loro tentativo di comunicare con noi, pur senza conoscere una sola parola di qualsiasi lingua che non sia il serbo. 
 
  
Strapparsi a questa terra dopo pochi - troppo pochi! - giorni è un po' doloroso. Anche perché la lunga strada per la Croazia, che passa dalla Bosnia Erzegovina, è arroventata e aggrava la nostalgia per il clima fresco dei monti Durmitor.
La Croazia ripaga gli sforzi compiuti per percorrerla. Il versante a sud di Spalato praticamente ha un'unica strada, erosa alla montagna e percorsa da tutti: vacanzieri, residenti e autotrasportatori. La vista è così stupefacente da imporre al guidatore un sacrificio supplementare per dedicare la propria attenzione ad evitare scontri frontali piuttosto che ad ammirare il paesaggio. Una costa simile, ammetto, è un'esperienza che mi era capitata poche volte. Non sono solo la successione pazzesca di piccole insenature, spiagge minuscole con qualche barca attraccata e pochi bagnanti fortunati, le isole e isolette affacciate sulla costa e i colori strabilianti a richiamare lo sguardo. Ciò che colpisce è lo stato di conservazione del paesaggio, che ha saputo trovare un magico equilibrio tra sviluppo e tutela, tra turismo e salvaguardia. C'è verità, in questa costa e lo si percepisce alla prima sosta casuale, per mangiare un panino e sgranchirsi le gambe in una pineta a picco sul mare che una mano fatata deve aver materializzato per noi. Odori di pino e salsedine e il suono ipnotico delle cicale, poche manciate di nuotatori e pescatori in lontananza. Una lugubre e affascinante villa abbandonata, che testimonia un passato di clamorosa e tranquilla nobiltà. Siamo nei pressi di Trsteno. 
Amo l'orgoglio dei croati per la propria bandiera, la loro lingua incomprensibile, l'attaccamento all'Hajduk Spalato - il calcio è un formidabile veicolo di socializzazione - e il testardo radicamento, che non è chiusura. Le coste sono frequentate dai loro abitanti, ma accanto a loro polacchi, cechi, austriaci e bosniaci sono numerosi. Di targhe serbe, effettivamente, ne ho viste molto poche. 
Allo stato di conservazione orgoglioso della costa e del fertile e agricolo spicchio di terra pianeggiante a ridosso del delta del fiume Neretva, fa dolorosamente da contraltare la plateale svendita di Dubrovnik, passata repentinamente da città fortificata arcigna e autonomista a mesto e slabbrato zoo per turisti. Il centro storico è un tappeto di bottegucce mediocri e convenzionali e ristoranti che vomitano odori e tavoli apparecchiati in ogni vicolo. Gente che mangia a tutte le ore e fritti insulsi devastano ogni ipotesi di atmosfera di un nucleo che un tempo, si può immaginare, è stato ricco di suggestioni. Ora puoi solo aprire il portafogli per camminare sulle mura che cingono la città (trentacinque soldi a persona!) o prendere un costosissimo e mediocre gelataccio (tre euro a palla) oppure gustare il paesaggio dalla teleferica che approda a ridosso delle mura da monte Srđ per trenta euro a cranio. A proposito, non venga in mente al turista incauto di prendere un espresso al bar in attesa della funivia: il conto è una bastonata che neppure a Venezia. Dicono che la serie televisiva "Games of thrones" abbia accresciuto la vocazione "glamour" di questa (ex) perla dell'Adriatico. Io sospetto che la spinta del turismo di massa e dei suoi guadagni facili abbiano corrotto l'equilibrio del luogo molto tempo prima. Dubrovnik non ha più nulla di originale, è una battona che pretende di continuare ad esercitare un fascino che non ha più, rincorrendo la bellezza a botte di plastica, silicone e Botox, finendo per apparire soltanto tristemente grottesca. Ce ne siamo allontanati un po' affranti, anche considerando le sei ore di macchina che ci è costata la gita, tra andata e ritorno dalla piccola perla - questa si - chiamata Omis dove risiediamo. Omis è un'ex enclave dei pirati, la cui posizione incastonata nella montagna fa capire facilmente i motivi per cui sia stata scelta come base inespugnata. Omis non ha nulla di abbacinante e il suo fascino è piccolo e fragile. Da questo ha tratto la forza per conservarsi.
Il mare è davvero bello e aggirarsi in barca fra le mille isole è irrinunciabile. Non si può fare a meno di invidiare chi può permettersi di scorazzare fra gli angoli infiniti di questo arcipelago con un gommoncino o una barchetta, senza pretendere necessariamente una poderosa imbarcazione come quelle che ogni tanto fanno la propria comparsa lasciando a bocca aperta tutti gli altri. Ma anche chi si rotola pigramente su un lettino di qualche villa affacciata sulla costa. Ce ne sono, forse, milioni. Quasi sempre senza sfarzo, non siamo in costa Smeralda. Solo una splendida semplicità, talmente tranquilla da diventare altezzosa. 
È un posto complicato da cui allontanarsi, la Croazia. È un luogo da cui non puoi congedarti senza esserti riproposto di tornare. Magari per vedere la parte nord. Magari per provare meglio i vini del sud. Magari per farsela tutta in barca, come quei dannati turisti che, tra un tuffo e l'altro, davano proprio l'idea di essere felici. 









1 commento:

  1. Grazie per questa gita che mi hai fatto fare con nuovi occhi sui luoghi gia' visti! Balcani dalle mille storie tragiche , sullo sfondo di una Natura magnifica. Ho sempre pensato a ritroso quel mondo..

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