venerdì 22 ottobre 2010

Outing



So di avere una forma maniacale. Non credo sia proprio una patologia, ma è anche vero che non mi intendo di patologie. Sono un feticista. Di libri. Non è da molto che ce l’ho, qualche anno. Ma si alimenta col tempo. A me il libro non piace solo leggerlo. No, no. Mi piace guardarlo, in tutte le sue forme, che occhieggia dagli scaffali di una libreria o dalla mia mensola. Copertine colorate, con foto bellissime o quadri famosi o disegni pieni di cromatismi. Ma anche gli Adelphi mi attraggono, con il loro aplomb severo. E che dire dei tascabili. Piccolini, con copertine sottili, sottili come le mani di un bambino. Sono così delicati che potresti fargli male. Gli angoli delle pagine si piegano con la stessa facilità della carta velina, tanto che mantenere un tascabile intonso è opera da certosini. Di ben altra natura i saggi ponderosi da centinaia di pagine, con la copertina rigida. Mi ricordano i vecchi quadri con le cornici dorate. Pesanti, monumentali, cupi. I classici ispirano tranquillità, sai che staranno con te per sempre. Consorti pedanti che un giorno o l’altro riscoprirai nella loro bellezza, magari dopo aver tradito con qualche bestseller da pochi soldi. O con l’ultimo Strega.

Poi il libro mi piace annusarlo. Quando è nuovo sa di colla e di carta e di plastica. E’ ancora piuttosto neutro e attende di passare fra le mani del lettore che gli darà parte di sé. Stazionerà in qualche zaino o borsa, nel cruscotto di un’auto, su qualche comodino prenderà odori nuovi e il profilo delle pagine diverrà sempre più scuro di polvere e sudore delle mani e fumo. L’identità più forte però ce l’hanno i libri d’epoca. Il tempo gli ha regalato un colore giallastro e l’odore della carta si avvicina a quello del legno. L’odore del tempo. Sono cibo da archeologi, da spulciatori di soffitte, gente che si eccita per la caduta di qualche pagina che viene via dalla rilegatura come fosse foglia autunnale.

Amo anche possederli ovviamente. Tenerli tra le dita, sentire il fruscìo delle pagine, il battito della copertina sul tavolo, il peso sulla mia spalla o sul petto prima di addormentarmi. Ne allineo un po’ accanto al letto, sono quelli “da leggere”: una pila che tende costantemente ad aumentare. Già perché se entro in una libreria, la mia terra di perdizione, quattro volte su cinque esco con una busta di libri. Non posso farne a meno. Compro, compro e compro sulla base di consigli di amici, suggestioni passate o compulsione del momento. E poi allineo sulla mensola. Compro, allineo. Compro, allineo. Sono uno di quelli che prima o poi cambia casa per far spazio ai libri.

Scelgo le letture sulla base dell’estro del momento oppure del periodo che sto vivendo. Il momento magico però non è solo quello della lettura. Quella è la vita reale. C’è però anche un periodo che precede la lettura, che dura dal primo momento in cui si è vista la copertina e si è stabilito il primo contatto col libro all’apertura della prima pagina. E’ l’attesa, che io tento di prolungare grazie alla fedele mensola (finché crollerà). Il periodo in cui si immagina che libro sarà, se ci catturerà trascinandoci nel gorgo dei sogni, della fantasia, delle emozioni o dei ricordi come accade coi libri migliori, oppure no. Se sarà facile o impegnativo, lento o scorrevole. Se si farà bere allegramente come succo d’arancia o se piuttosto pretenderà l’approccio pensoso di un cognac secolare. Ti immagini i luoghi migliori per leggerlo e goderlo al massimo. Interromperai a metà? Arriverai alla fine? Ti annoierà all’inizio per poi avvincerti dopo le prime cento pagine? Susciterà aspettative sul finale? Le attenderà? Le deluderà? Quale sarà il prossimo che leggerò? Perché?

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