lunedì 4 ottobre 2010

Sull'egemonia francese



L'Italia ha fallito il suo progetto unitario, cominciato 150 anni fa. Non è il caso di andare oltre, arrendiamoci all'evidenza. Ad un secolo e mezzo dall’unità tutti i principii che erano alla base del Risorgimento, se non sono stati esplicitamente traditi non appassionano comunque la maggioranza dei cittadini. L’Italia non è un paese coeso socialmente, geograficamente, economicamente. E’ disgregato produttivamente, fra ricchi e poveri, giovani e vecchi, donne e uomini, religiosi e laici, omosessuali ed eterosessuali, evasori e non evasori, guardie e ladri.

In più, l’Italia unitaria periodicamente produce scorie del sistema democratico che creano disagi e imbarazzi in tutto il mondo come il fascismo, il terrorismo politico, lo stragismo, la mafia, il berlusconismo.

E’ ora di finirla. Ci abbiamo provato, a giocare allo Stato sovrano, a recitare il ruolo della Repubblica democratica, ma non ce l’abbiamo fatta. Non è un dramma, non c’è da disperarsi. La democrazia non è per tutti. Gli italiani sono un popolo che ha bisogno di essere sottomesso, non può autodeterminarsi. Se indirizzato da una mano forte e decisa, può anche esprimere qualità uniche e nobili come le arti, il senso della bellezza, la buona cucina, il sentimento. Abbiamo anche un clima invidiabile. E allora perché non riflettere su quale mano debba guidare questo popolo dotato di alcune buone peculiarità ma assolutamente incapace di autogovernarsi? Quale conduzione dare a questa terra ricca di inestimabili patrimonii?

Io molto modestamente una proposta da avanzare ce l’ho.

Dovrà essere un popolo Europeo. Non si può guidare una terra come l’Italia, con una storia millenaria ancorché non unitaria, senza avere un bagaglio di tradizioni e di cultura almeno simile. Inoltre la necessità di una prossimità geografica esclude i popoli più lontani come la Cina, il Giappone, l’America. I tedeschi potrebbero essere una buona idea, ma sono troppo diversi da noi: troppo normativi, intransigenti, rigorosi. La fusione tra i popoli sarebbe impossibile e alla lunga creerebbe rischi di rigetto. Stesso discorso vale per i popoli nordici, potenzialmente adatti per alcuni motivi ma a mio avviso incapaci di comprendere la complessità dell’anima italiana e guidarla come si converrebbe. Per contro spagnoli e greci finirebbero per essere talmente condizionati dalle perversioni italiane da finirne invischiati con nefasti effetti sulla riuscita dell’operazione. I francesi, invece, porterebbero a termine il progetto di conquista dell’Italia con grande successo in un orizzonte relativamente breve, diciamo di altri 150 anni. Del resto, se abbiamo dato un secolo e mezzo di tempo al progetto risorgimentale unitario prima di trarne le conclusioni, mi sembra giusto concedere lo stesso tempo anche al progetto egemonico per concretizzarsi oppure essere rivisto.

Il popolo dominante porterà trasporti migliori (piste ciclabili, metropolitane, rete ferroviaria e stradale migliore), buona amministrazione, stato sociale vero (e non la caricatura italiana) e maggiore attenzione alla cultura. Laicità, progresso sociale e pluralismo. Equità nel pagamento delle tasse, tutela dei più deboli e maggiori fondi alla ricerca scientifica. La Francia è il paese al mondo in cui il socialismo ha funzionato meglio, la vera “terza via” tra comunismo e capitalismo. Quello stesso “sistema misto” tra impresa e Stato che anche l’Italia ha tentato invano di praticare naufragando nella corruzione, con conseguente scomposta reazione iper-liberista (almeno in teoria). Non si può, come fa l’Italia di questi anni, smantellare il Welfare perché costoso abbracciando il mito della libera impresa senza però creare il contesto liberalizzato e regolamentato che hanno paesi come Stati Uniti e Inghilterra, che hanno abbracciato il modello dello “Stato leggero” molto più della Francia. In sostanza la Francia ci assomiglia come modello di governo, ma senza le aberrazioni italiane. I francesi sono così simili agli italiani da essere definiti “cugini”, quindi ogni ipotesi di mancata omogeneizzazione, su un orizzonte di un secolo e mezzo, è da considerarsi improbabile.

In cambio dovremo accettare poche cose, come il blu a posto del verde nella bandiera e lo spostamento della capitale. Bazzecole, in confronto al privilegio di vivere in uno Stato democratico moderno.

So bene che il processo di omogeneizzazione tra i popoli non è cosa da poco. I tedeschi in venti anni non sono ancora venuti a capo della riunificazione. Ma la Francia è sempre stata espansionista, mica si cambia in un paio di secoli una storia millenaria. Il popolo italiano d'altronde si sottomette facilmente. Quindi c’è l’affinità su cui costruire un’idea di successo.
Un paese che nascesse dall’unione di Italia e Francia sotto le insegne di Liberté, Egalité, Fraternité sarebbe un colosso che primeggerebbe in molti settori nel mondo. Una superpotenza che metterebbe in discussione gli equilibri internazionali e l’orgoglio di tale grandezza consentirebbe agli italiani (che verrebbero chiamati “peninsulari” per distinguerli dai francesi – i “continentali”) di mettere da parte oziosi distinguo come l’affezione per la propria lingua (che diverrebbe lingua secondaria, insegnamento facoltativo nelle scuole) o per la pizza margherita, che continuerebbe a vivere spostando l’accento sull’ultima “a” e aggiungendo schegge di Camembert accanto alla mozzarella. La nazionale di calcio non sarebbe un problema, la maglia azzurra continuerà ad essere quella di tutti. Il problema dell’inno non esiste: quello di Mameli già oggi non lo conosce nessuno e la Marsigliese è obiettivamente una musica migliore. La Fiat diventerebbe socio di minoranza della Renault, ma nessuno sentirà la mancanza della Croma. Un po’ di musicaccia francese mandata in radio per legge non farà male a nessuno e se un peninsulare volesse continuare a chiamare “computer” il proprio attrezzo telescrivente in luogo di “ordinateur” nessuno lo accuserebbe di irredentismo.
I benefici sarebbero d’altronde di gran lunga superiori alle difficoltà.
A scuola, i bambini imparerebbero davvero la cittadinanza e l’educazione civica e non avrebbero simboli di partito alle pareti. Solo quelli di uno Stato sovrano forte e autorevole. Farebbero molti sport, dall’arrampicata al pentathlon. Terminerebbe l’emorragia di giovani che fuggono all’estero per la mancanza di prospettive e di fondi all’Università. La società sarebbe più composita, varia e complessa, in sostanza più ricca e meno conformista grazie ad una vera pluralità confessionale, alla tutela legislativa delle coppie di fatto e alla riduzione delle discriminazioni verso le donne. I trasporti pubblici consentirebbero la mobilità anche a chi non ha un’automobile mentre un Servizio Sanitario Nazionale realmente funzionante tutelerebbe la natalità (agevolata anche fiscalmente) e ridurrebbe le malattie (in alcuni casi oggi in Francia lo Stato finanzia alle donne la riduzione del seno quando questa allunga l’aspettativa di vita e determina un finale beneficio sulla spesa sanitaria pubblica). Le città più disagiate come Napoli e Palermo verrebbero risanate con ingenti capitali come sta accadendo a Marsiglia, che è stata fatta oggetto di 5 miliardi di euro di finanziamenti (progetto Euroméditerranée) per farne il primo porto del Mediterraneo. Finanziamenti europei/statali/regionali/privati gestiti in modo molto più abile di quanto si faccia in Italia (vedere ad esempio quanto accaduto per i Mondiali del 1990). I lavori pubblici (nuove strade, nuovi quartieri, viabilità, metropolitane, monumenti) come pure i piani regolatori verrebbero organizzati con criteri di maggiore efficienza, senza nessun condono e con una decisa lotta all’abusivismo. Il paesaggio ne verrebbe oltremodo migliorato, come pure la vivibilità delle nostre città congestionate, che respirerebbero grazie all’uso del modello francese nella gestione dell’urbanistica.

Si potrebbero fare altri numerosi esempi e confesso che più ci penso e più mi convinco che una fusione tra i due popoli, opportunamente egemonizzata dal più organizzato fra i due, gioverebbe ad entrambi.
Anche gli italiani hanno benefici da portare alla Francia. I popoli conquistati hanno sempre recato vantaggi diretti ai dominatori. Il nostro carattere gioviale smusserebbe le asperità francesi, la nostra propensione alla relazione sociale li renderebbe meno scontrosi. Siamo musicisti migliori, sappiamo giocare meglio a pallone e da noi il vino buono costa meno. Abbiamo spiagge straordinarie e grandi monumenti. Abbiamo Venezia, il Parmigiano, Firenze, l’amatriciana, Pompei, la Sicilia, il Colosseo e la Cappella Sistina (sarebbe finalmente di dominio pubblico la notizia finora tenuta nascosta che Michelangelo avesse origini francesi), la bottarga, la Toscana, insomma abbiamo qualche perla da portare in dote per rendere appetibile questo progetto di fusione. Altrimenti chi glielo farebbe fare ai francesi?

Ora si tratta di risolvere l’ultimo enigma, il nodo che non sono ancora riuscito a districare. Chi glielo dice a Ratzinger che deve nuovamente traslocare ad Avignone?

2 commenti:

  1. dove devo firmare???? L'Italia potrebbe finalmente splendere (come la diva che é) e lasciare i lavori rognosi (i.e. amministrazione economica finanziaria, lavori pubblici) a coloro che sono molto più capaci in materia.....

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  2. Questo è uno dei rari scritti nel quale, a distanza di tempo, non mi riconosco più. A guardarla oggi, la Francia, mi appare tutt'altro che un paese che possa essere elevato a modello. Ed anche la sua influenza sull'Italia mi pare essersi ridimensionata. Permane, tuttavia, un'aspirazione egemonica dei francesi, che negli anni passati ha avuto momenti favorevoli (invasione dei grandi player commerciali, acquisizione di aziende, ecc.) grazie al collateralismo di una parte dei vertici italiani e all'UE che è una costruzione politica nata per egemonizzare l'Europa a favore dell'asse franco-tedesco. Ma a livello di immagine, di popolo, di primato culturale, di "soft power" oggi le cose sono molto diverse.

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