martedì 21 settembre 2010

"Quello che interessa la gente"


Una delle frasi che sento più spesso proferire da politici di ogni schieramento e da giornalisti, opinionisti, editorialisti, riguarda “le cose che interessano la gente”. Si dice di smetterla di litigare su alleanze e leggi elettorali, su nuovi partiti e leadership, che si dovrebbe parlare “di quello che interessa la gente”. Segue la consueta e famosa lista di temi come il precariato la scuola la sanità le tasse eccetera. Si dovrebbe parlare “di quelli che non arrivano alla fine del mese” (i quali si presume stiano perennemente davanti al televisore in attesa di essere blanditi).

E’ un grimaldello retorico che spunta ogni volta che si vuole strappare l’applauso, dicendo un’ovvietà che di sicuro non troverà opposizioni. Chi può contestare la necessità di parlare “di quello che interessa la gente”? Si usa questa argomentazione per trarsi fuori da una conversazione difficile, per fare la figura di quello che sta dalla parte dei cittadini accusando implicitamente gli interlocutori di non esserlo.

Ogni volta che lo sento ho la certezza che non si parlerà “di quello che interessa la gente”. Dire cose che suscitano la passione, la curiosità e la partecipazione della platea dovrebbe essere l’unica ragione di un intervento pubblico. Più che rivendicarne la (evidente) opportunità, sarebbe molto meglio sottintenderla e, semplicemente, parlare delle proprie posizioni. Delle proprie proposte. Delle proprie idee. Punto.

Tra l’altro, presumere di sapere “cosa interessa la gente” mi pare già un sufficiente atto di supponenza.

Il sistema dell’audience, televisiva in particolare, già postula implicitamente che il motivo dell’esistenza di un programma sia l’interesse da parte di una platea. Diversamente, si chiama propaganda. Cioè distacco rispetto alla partecipazione del pubblico, che si vuole invece orientare in modo manipolatorio. Non si dà cioè risposta, attraverso un dibattito pubblico, ad una domanda, ma si vuole invece modellare quella domanda sulla base di un “altro” disegno, di tipo autoritario.

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