mercoledì 30 marzo 2011

Amélie



Amélie aveva una scatola, con dentro sogni e pezzi di vita. A volte la mostrava, ma dovevano essere persone speciali. A volte l’apriva e qualcuno di quei colori straordinari usciva e iniziava a cospargere le pareti bianche della stanza. Allora lei si spaventava e richiudeva subito il coperchio. La pallina poteva ruzzolare sotto il letto: e se si fosse persa?

Amélie aveva un posto, dove non entrava nessuno. C’era il suo odore forte e tutto parlava di lei. La luce era chiara e ogni oggetto una foto di momenti vissuti. Persone. Sorrisi. Rombo sfumato di parole fuggite col vento di qualche sera romana, di un sabato lontano.

Amélie aveva una musica in fondo al cuore, un ballo di pochi minuti con un bambino sconosciuto, con occhi chiari pieno di sogni smarriti, emozioni chiuse dietro una mattonella. Musica di nostalgia di una stanza in penombra.

Amélie aveva un ricordo, che si faceva ogni giorno più bianco, da stringere in pugno per trattenerlo. Un abbraccio adulto partito prima del tempo. Un bisogno di partire per cercare. Una paura di perdere. Una strada da seguire.

Amélie era mia figlia, era tutto ciò che c’era. Era mia madre che torna dopo il raccolto, alla sera. Era il profumo della scoperta e l’invenzione della gioia.

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