lunedì 4 aprile 2011

Il richiamo antico del mercato rionale


C’è un quartiere che frequento per lavoro che ha vari motivi di fascino. Uno di questi è la folta presenza di locali di ogni tipo. Ristoranti, osterie, bar, pizzerie ma anche gallerie d’arte e oggetti di arredo. Si possono assaggiare i piatti più disparati, scegliendo in base all’estro del momento fra pizza napoletana doc, crèpe, sushi oppure arancine siciliane e poi pasticceria, gelati, pastasciutta o gulash. Sono tanti gli impiegati e i professionisti che all’ora di pranzo affollano, con le loro giacche e cravatte, i tavolini apparecchiati con tovaglie di ogni colore.

Eppure io, di tanto in tanto, amo prendere un panino al mercato rionale. Si, uno di quei mercati di quartiere che trent’anni fa erano il luogo prevalente per fare la spesa, abitudine quotidiana invece che settimanale come accade più spesso oggi. Pesce e carne freschi e poi il pane, da comprare ogni giorno dal panettiere di fiducia, e il latte in “latteria”. Una volta nel mercato rionale coperto c’era pure il vinaio, che ti riempiva la bottiglia oppure la damigiana. A volte vendeva pure l’olio e aveva la pizza bianca bassa e croccante. La potevi mangiare se volevi un bicchiere di vino da assaggiare prima di comprare.

Scelgo il panino dal fornaio e poi passo dal salumiere e seguo le suggestioni della vetrina, chiedendo di farcire il pane con un affettato sempre diverso e poi del formaggio oppure altro. Tonno fresco, verdure grigliate. Non c’è limite alla fantasia ed ogni volta è un nuovo accostamento. E mentre sono lì che guardo affettare il prosciutto sento i suoni antichi del mercato rimbombare sotto il soffitto altissimo di vetro e cemento. Urla di richiamo, canzoni fischiettate da venditori che spostano cassette di frutta, discussioni sui risultati dell’ultima partita. E soprattutto sento gli odori forti del cibo che si mischiano fra loro. Un teatro umano nel quale proiettarsi per staccare, davvero, dalla monotonia asettica di un ufficio.

Ma ecco che la signora mi porge il ricco panino. “So’ tre euro, dottò...”.

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QUESTO ARTICOLO E' STATO PUBBLICATO DA BIBENDA A QUESTO INDIRIZZO.

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