lunedì 10 gennaio 2011

Le virtù del disequilibrio


In me c’è una metà più lunga: quella che comprime la struttura. E’ lei che mette in discussione l’equilibrio e causa le tensioni. Per esser solidali ad essa, le parti flessibili si comprimono e si accorciano, cercano di “compensare”. Di conseguenza, altre parti si allungano e distendono in un’affannosa ricerca della simmetria.

Può accadere di starci male, per questo squilibrio. E pure molto.

Il benessere passa attraverso la dedizione. Bisogna cercare di sorreggere l’impalcatura attraverso le virtù della costanza, massimizzare la percezione dei propri movimenti, sfumare l’acutezza delle percezioni nevritiche, controllare le dimensioni ed infine dedicarsi alla sottile arte della ricerca dell’equilibrio tra le parti. Distendere la metà compressa, certo, ma senza comprimere l’altra. Non si può vincere l'asimmetria con un impulso a sua volta asimmetrico. Bisogna vincerla con la simmetria buona: distendere e comprimere entrambe le metà, tenendo presente che certamente una soffrirà l’allungamento più dell’altra.

E' così che anno dopo anno si può restare aggrappati all’instabilità, impegnati in una pervicace lotta per la ricerca del contrappeso, considerandone perfino i lati positivi. La lotta spinge ad essere virtuosi, obbliga a dominarsi, impone un’autodisciplina.

Evidentemente quelli come me riescono a stare in piedi solo se stimolati dal disequilibrio.

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