mercoledì 18 settembre 2013

Io e la Sardegna, anzi l’Ogliastra


Sono tornato in Sardegna. L’ho fatto in settembre e l’ho fatto in Ogliastra, sulle vestigia del mio nonno materno. Questa è una delle aree più incontaminate di un’isola comunque meno abusata, meno sfruttata, meno insediata della maggior parte dei luoghi d’Europa esclusa l’Islanda, qualche parte della Grecia e alcune vallate alpine (ma in montagna è più facile, per ovvie ragioni geografiche, preservare il territorio). Fin dall’infanzia il rito del ritorno si ripete periodicamente, ogni due o tre anni. In verità tre anni è già troppo: ho calcolato che dopo circa venti mesi di assenza dall’isola comincio ad avvertire strane manifestazioni di astinenza. L’effetto principale è una particolare sensazione di soffocamento, che nelle mie percezioni distorte dalla saudade mi convinco possa essere contrastata solo dagli spazi sardi. Anzi da quelli dell’Ogliastra. Per forza: qui ci venivo da piccolo, ci ho sguazzato da adolescente, ci ho fatto la prima vacanza zingara, in macchina da solo con un amico. Ci ho passato momenti di coppia, di famiglia e di solitudine. Qui ho imparato a nuotare sott’acqua, qui ho gustato i primi sorsi del vino scuro che facevano i parenti e già lo confrontavo con quello, diversissimo, dei parenti piemontesi. Qui ho visto i cieli più meravigliosamente pieni di stelle della mia vita.
Malgrado ciò, non è che abbia passato tutte le estati della mia vita qui e forse è anche meglio: il ritorno in questo modo mi dà emozioni ancora più potenti, perché non è scontato. Anzi ogni volta mi chiedo quando succederà ancora. Ogni anno, prima di approdare, mentre sono in nave e mi muovo tra le due sponde mi chiedo se la magia si ripeterà. Affiora sempre il timore che qualcosa si sia rotto. Qualcosa dentro di me oppure nel paesaggio, insomma che l’equilibrio si rompa, che il legame tra di noi (io e la Sardegna, anzi l’Ogliastra) venga inquinato da qualche fattore di interferenza.
Alla fine dell’estate 2013 le strade, le spiagge e le campagne della Sardegna anzi dell’Ogliastra sono ancora più rarefatte del solito. L’arretramento dell’attività turistica rende la natura più che mai padrona del paesaggio, i rilievi di roccia rossa che digradano al mare ancor più presenti. Qui la Sardegna esprime la sua identità nel modo plateale e severo che è sconosciuto ai tanti frequentatori delle – pur splendide, inimitabili – coste del nord dell’isola. Gli sparuti bar che delimitano il bordo delle spiagge, a ridosso delle pinete che sprizzano le proprie fragranze, hanno una decadenza commovente che sembra richiamare alla fine di un’epoca, oltre che alla conclusione di una stagione. Non c’è ombra, o se c’è è ben nascosta, del turismo su larga scala  che serve frotte di vacanzieri soddisfacendo bisogni in cambio di guadagni. Qui il “business”, parola che traccia una dimensione organizzata e sistematica del profitto, ritorna “commercio”, termine che invece ci riporta alla natura dello scambio di risorse. E poi i sardi, in netta maggioranza su tutti i turisti “continentali”, popolano le proprie spiagge con rispettoso orgoglio accanto a tedeschi in camper, coppie di pensionati e famiglie controcorrente. C’era anche la mia, di famiglia. Astrid ha fatto sua la Sardegna anzi l’Ogliastra con amorevole intensità. E’ una conferma della nostra affinità. Del resto non avrei potuto tollerare il contrario e probabilmente, se avesse detestato questa terra, l’avrei uccisa a Perdasdefogu dandola in pasto a un maialino del Gennargentu.
L’Ogliastra è essenzialmente rurale. Allevamento e coltivazione sono appannaggio di una miriade di soggetti anziché di aziende di dimensione elevata o anche solo media. E’ stato agevole quindi fare la spesa direttamente dai produttori, perché essi erano disseminati ovunque. Chi ha un orto spesso propone i propri prodotti in strada. Chi ha un po’ di terra non esita – se glielo chiedi – a vendere ciò che ha cioè frutta oppure verdura, olio, vino, mirto e acquavite, confetture, formaggio, salumi, pasta fresca, pane. Ad esclusione delle consuete catene della grande distribuzione – peraltro qui affette da un entusiasmante (per me) nanismo – non ho trovato un punto vendita (macelleria, alimentari, pescheria) che non si approvvigioni da produttori della zona e in molti casi da proprie risorse (il macellaio vende la carne dei propri maiali, il salumiere il formaggio di un amico o un parente e così via). Per chi abita in città ed è abituato a fare salti mortali per sfuggire all’assedio pervasivo dell’industrializzazione, pagando a caro prezzo le proprie “eccentriche” abitudini nutritive, trovare un simile contesto equivale ad approdare alla terra promessa o qualcosa di simile. L’aspetto alimentare ha contribuito non poco alla definizione di un equilibrio sensoriale magico in cui spazio visivo incredibilmente aperto, silenzi rotti dal rumore delle onde o della pioggia, aria lieve che lambiva incessante la pelle e le foglie, odori e sapori netti e inconfondibili hanno pennellato il quadro del nostro soggiorno.
Il contesto è un requisito determinante, e anche sottovalutato, al godimento di un’esperienza. Si sente spesso dire “il cibo che ho portato, una volta a casa, non aveva lo stesso sapore”. Se il vissuto coinvolge in modo accentuato l’aspetto sensoriale come può accadere, ad esempio, durante un viaggio in barca a vela oppure una spedizione in Tibet, esperienze in cui l’immersione ambientale è più totalizzante, la difficoltà è ancora più forte.
Vorrei condividere con gli amici cari ciò che ho provato, sentito, goduto e scopro che c’è un irriducibile dislivello tra ciò che so e ciò che riesco a descrivere. La frustrazione si riduce parlando con qualcuno che ha vissuto esperienze simili, poiché mi convinco che intuisca certe sensazioni avendone già provate di simili. So che coloro che conoscono l’Ogliastra od hanno trascorso giorni settembrini in Sardegna (anche in altre zone) hanno qualche chiave in più per accedere alle stanze del mio piacere vissuto. E’ un po’ come quando si tenta di spiegare l’esperienza di un figlio: sai già che chi non ha figli non potrà comprendere appieno i dettagli di ciò che gli comunichi, non hai bisogno di averne conferma leggendo negli occhi del tuo interlocutore un ascolto interessato ma distante. D’altro canto sai già che gli altri genitori afferreranno ogni sfumatura delle tue emozioni, senza dover attendere la luce partecipe che infiammerà i loro occhi quando gli parlerai, che so, della prima volta che hai preso in braccio tua figlia o dei primi passi di tuo figlio.
Mi interrogo su questi temi a sole ventiquattro ore dal rientro. Sono nel mio appartamento e assaggio pensoso il prosciutto di filetto di capra comprato da un pastore che stazionava, col suo banchetto appoggiato al furgoncino, all’incrocio di due strade. Ci dev’essere un modo per aiutarmi a “far capire” e introdurre le persone direttamente “dentro l’esperienza”. Certo, non potranno sentire gli odori che ho sentito, i silenzi a cui mi sono abbandonato e non saranno accarezzati dalla stessa brezza. La sensorialità è forse l’ultima barriera che la telematica dovrà (tentare di) superare per rendere la condivisione davvero completa e il virtuale sempre più reale. Dovesse mai riuscirci, il mondo cambierà in modo inimmaginabile. Prima di allora, mi limiterò a domandarmi se ascoltar parlare un pastore, vedere un video girato su una spiaggia lunare, guardare fotografie o farsi spedire una bottiglia di mirto riusciranno a trasferire, nell’interlocutore ignaro, una quota di emozioni superiore a quella che la mia umile penna ha saputo riferire.

2 commenti:

  1. Io un po' posso capire perchè sono stato tuo ospite in Ogliastra (anche se a fine Agosto) e ho vissuto la Sardegna a Settembre (anche se la costa Nord).
    Esistono luoghi speciali nella vita di una persona, e lo diventano quando alle virtù intrinseche del posto si associano esperienze, tappe importanti della propria esperienza.

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  2. Ho attraversato, seppure in agosto, gli stessi tratti esperenziali che la felice penna di Simone ha saputo richiamare. Tuttavia, uscendo per un solo momento dall'incanto della narrazione emozionale, vorrei cambiare punto di vista, considerando anche che la vocazione niente affatto turistica di quella splendida terra (anche in agosto) favorisce, da un lato, la migliore condizione possibile per la preservazione ed il traghettamento delle storie sedimentate e delle culture secolari fino ad oggi, dall'altro - fortunatamente per i turisti e sfortunatamente per le popolazioni locali - la perdita di una gigantesca opportunità per lo sviluppo di un settore che potrebbe contribuire significativamente (nel rispetto del territorio) a migliorare la ricchezza della regione e, conseguentemente, il benessere delle popolazioni.

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